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Didaskàlikos

XXXII. Le passioni

1. Ora, poiché la maggior parte delle virtù riguarda le passioni, bisogna definire che cosa sia una passione. È dunque, una passione, un movimento irrazionale dell'anima in relazione ad un male o ad un bene. Si dice "movimento irrazionale" perché le passioni non sono né giudizi né opinioni, ma movimenti delle parti irrazionali dell'anima. Le passioni risiedono nella parte non razionale dell'anima, e non sono nostre azioni né sono dipendenti da noi. Spesso in verità esse nascono in noi anche se non vogliamo e ci opponiamo; talora, pur conoscendo che le cose in cui ci imbattiamo non sono né dolorose, né dolci, né temibili, nondimeno ci facciamo da esse muovere, mentre non ci comporteremmo così se le passioni fossero dello stesso genere dei giudizi; i giudizi infatti, dopo averli condannati, noi li abbandoniamo, che ciò sia giusto o che ciò non lo sia. Abbiamo aggiunto in relazione ad un bene o ad un male, poiché la passione non viene suscitata dall'immagine di una cosa indifferente; ogni passione si ha infatti per l'immagine o di un bene o di un male. Quando infatti, cogliamo un bene presente, ci rallegriamo, quando lo vediamo nel futuro, lo desideriamo; così, quando cogliamo un male presente, ci affliggiamo, quando lo vediamo nel futuro, lo temiamo.

2. Le passioni semplici ed elementari sono due: il piacere e il dolore; le altre derivano e sono formate da queste. Non devono essere infatti annoverate fra queste, come se fossero originarie e semplici, la paura e il desiderio. In effetti, colui che ha paura non è completamente privo di piacere: infatti non potrebbe vivere il tempo che gli tocca in sorte, se disperasse di una liberazione dal male o di un conforto. D'altra parte la paura ha in sé un eccesso di sofferenza e di turbamento e per questo è legata al dolore; colui che desidera, restando nell'attesa di ciò cui aspira, gioisce, ma quando non ha completamente fiducia né ha una speranza salda a sufficienza, allora è triste.

3. Se il desiderio e la paura non sono passioni originarie, si converrà che, senza dubbio, neppure alcun'altra delle passioni è semplice ; né l'ira, né la bramosia, né l'invidia, né le altre simili; in queste passioni si vedono piacere e dolore, come se da essi fossero composte.

4. Fra le passioni, alcune sono selvagge, altre miti: miti sono quelle che appartengono per natura all'uomo e sono necessarie e proprie di esso; tali passioni sono così finché c'è misura; se viene a manifestarsi in esse mancanza di misura, allora diventano cattive. Tali passioni sono il piacere, il dolore, l'ira, la pietà, la vergogna; è proprio dell'uomo in verità gioire per le cose secondo natura, addolorarsi per le cose contrarie alla natura. L'ira è necessaria per respingere e punire coloro che ci sono ostili. La pietà è propria dell'amore verso gli uomini. La vergogna infine è utile per tenerci lontani dalle cose turpi. Ci cono poi le passioni selvagge, che sono contro natura, poiché derivano dalla perversione e dai cattivi costumi; esse sono lo scherno, la gioia per il male altrui, l'odio per gli uomini; queste passioni, per quanto crescano o diminuiscano, comunque siano, sono negative, poiché non accettano misura.

5. Riguardo al piacere e al dolore, Platone dice che queste passioni sono in noi originariamente dotate di movimento e che il dolore e la sofferenza nascono quando in noi siamo mossi contro natura, mentre piacere nasce quando siamo restituiti all'ordine naturale. Egli ritiene che la condizione naturale consista nell'essere a metà fra la sofferenza e il piacere; questo stato non è né l'una né l'altra delle passioni fondamentali e in tali condizioni passiamo la più parte del tempo.

6. Platone insegna anche che delle molte specie di piaceri, alcuni sono del corpo, altri dell'anima; e dei piaceri, gli uni si mescolano con i loro contrari, altri rimangono puri e distinti; gli uni nascono dal ricordo, gli altri dalla speranza; gli uni sono turpi: quelli intemperanti e ingiusti; gli altri invece sono dotati di misura e partecipano, in qualche modo, al bene, ad esempi la gioia che deriva dal bene e i piaceri che derivano dalla virtù.

7. Poiché molti piaceri sono riprovevoli, non si deve ricercare se essi possano far parte dei beni in sé: infatti, il piacere appare come mutevole e di nessun valore: è un sovrappiù rispetto alla natura, non ha alcunché di essenziale e di preferibile e in verità coesiste con il suo contrario; si mischiano infatti piacere e dolore, il che non potrebbe mai accadere se l'uno fosse un bene in sé e l'altro un male in sé.

 


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