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Didaskàlikos

XXXI. L'involontarietà del vizio

1. E poiché se qualcosa esiste di dipendente da noi e senza padrone, tale è la virtù (non dovrebbe infatti essere lodato il moralmente buono, se provenisse dalla natura o da qualche divino destino), la virtù è volontaria e consiste in una spinta ardente, nobile e durevole: dal fatto che la virtù è volontaria segue l'involontarietà del vizio. Chi infatti sceglierebbe volontariamente di avere nella parte più bella e più pregevole di se stesso il peggiore dei mali? Se, infatti, qualcuno aspira al male, in primo luogo, lo fa credendo di aspirare non al male, ma al bene; e se uno ricorre al male, una tale persona è assolutamente ingannata nella sua intenzione di tener lontano un male più grande attraverso un male più piccolo, e in questo modo risulterà involontario il ricorso al male; è impossibile infatti che qualcuno aspiri al male, volendo trovare il male stesso o per il timore di un male maggiore.

2. Anche tutte le azioni ingiuste che compie l'uomo stolto sono involontarie; poiché l'ingiustizia è involontaria, ancor più lo sarà l'agire ingiustamente, in quanto è un male più grande l'agire secondo ingiustizia che il possedere l'ingiustizia senza praticarla. Benché dunque le azioni ingiuste siano involontarie, bisogna punire quelli che le commettono e in modo diverso: i tipi di colpa sono infatti differenti e l'involontarietà deriva da ignoranza o da passione; tutte queste cose è possibile allontanarle con la ragione, con i buoni costumi e con l'esercizio.

3. L'ingiustizia è un male tale che bisogna maggiormente fuggire il commetterla che il subirla; commetterla infatti è proprio di un uomo malvagio, subirla è proprio di un uomo debole. Turpi sono entrambe le cose, ma il commettere ingiustizia è tanto più cattivo, quanto più vergognoso; è utile poi, a chi commette ingiustizia, pagarne il fio, come anche per chi è ammalato è utile affidare il corpo al medico per le cure; ogni punizione, infatti, è una cura per l'anima che ha sbagliato.

 


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