[ Torna all'Indice del Didaskàlikos ]

Indice
Didaskàlikos

XXX. Le buone disposizioni naturali e il cammino dell'uomo verso la virtù

1. Si chiamano virtù, in un altro senso, anche le buone disposizioni naturali e i progressi verso la virtù perfetta; esse hanno il medesimo nome della virtù perfetta, per la somiglianza ad essa. Così dunque, chiamiamo forti anche i soldati e talora diciamo essere forti degli stolti, non riferendoci alle virtù perfette. È chiaro che le virtù perfette né aumentano né diminuiscono, mentre i vizi ammettono un più e un meno; infatti uno è più stolto e più ingiusto di un altro. I vizi non sono neppure legati gli uni agli altri: infatti, alcuni sono contrari l'uno all'altro e non possono risiedere nel medesimo soggetto. Così, la spavalderia è contraria alla viltà, la prodigalità all'avarizia. D'altra parte è impossibile che ci sia un uomo carico di ogni difetto, come è impossibile che esista un corpo che abbia in sé ogni afflizione.

2. Bisogna ammettere, dunque, anche una posizione intermedia, né viziosa, né virtuosa; infatti, non tutti gli uomini sono o virtuosi o viziosi. Tali diventano dopo un lungo processo; non è infatti facile passare rapidamente dal vizio alla virtù: c'è una grande distanza ed opposizione fra i due estremi.

3. Bisogna ritenere che vi siano virtù principali e virtù secondarie: le principali sono quelle che dipendono dalla parte razionale dell'anima; per mezzo di esse anche le rimanenti virtù raggiungono la perfezione; le virtù secondarie sono quelle che riguardano la parte dell'anima che ha in sé le passioni. Queste virtù compiono secondo ragione cose belle, tuttavia non secondo la ragione che è in esse, perché non ne hanno, ma secondo quella loro data dalla saggezza, ragione che nasce dall'abitudine e dall'esercizio. E, poiché non c'è scienza né arte in nessuna parte dell'anima, se non in quella razionale, le virtù che hanno a che fare con la parte dell'anima che ha in sé le passioni non sono insegnabili, perché non sono né arti né scienze; esse non hanno infatti una dottrina loro propria. La saggezza, che è scienza, dà a ciascuna altra virtù il suo specifico contenuto, come il pilota annuncia ai marinai cose che essi non vedono e questi gli obbediscono; lo stesso discorso si può fare per il soldato ed il generale.

4. Poiché i vizi possono essere maggiori o minori, anche le colpe non sono eguali, ma alcune maggiori, altre minori; conseguentemente a ciò, anche presso i legislatori, le une sono punite di più, le altre di meno. E benché le virtù siano come delle cime per la loro perfezione e la loro somiglianza al giusto, da un altro punto di vista, esse stanno a metà, poiché si vedono, da entrambe le parti, intorno a tutte le virtù o alla maggioranza di esse, due vizi, da una parte quello per eccesso, dall'altra quello per difetto. Ad esempio, ai lati della liberalità, da una parte si vede l'avarizia, dall'altra la prodigalità.

5. Infatti, si genera nelle nostre passioni una mancanza di equilibrio, secondo che si superi o si resti al di sotto del conveniente. Per esempio, non sarebbe di giusta sensibilità chi non si adirasse neppure di fronte a offese rivolte ai propri genitori, né chi lo facesse per ogni cosa, anche fortuita, ma tutto il contrario; di nuovo, similmente, chi non piange la morte dei propri genitori è insensibile, chi invece piange in modo tale da farsi consumare dal dolore è ipersensibile e non moderato; è di giusta sensibilità invece chi piange, ma soffre con misura.

6. E così, chi teme ogni cosa la di là di ogni misura è un vile, chi nulla teme è un temerario, chi è coraggioso sta nel mezzo tra la temerarietà e la paura; lo stesso discorso vale anche per il resto. Poiché dunque la misura è nelle passioni la cosa migliore e la misura non è altro che il giusto mezzo fra l'eccesso e il difetto, per questo, per la loro medietà, queste virtù sono tali, giacché ci rendono moderati nelle passioni.

 


Torna al capitolo precedente Torna all' indice del Didaskàlikos Vai al capitolo successivo