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Didaskàlikos

XXVI. L'uomo e il fato

1. Intorno al fato Platone pensa, all'incirca, queste cose. Dice che tutto è nel fato, ma che non tutto è predestinato. Infatti, il fato è come una legge e non stabilisce, ad esempio, che una persona farà una cosa, che un'altra persona invece subirà un'altra cosa; questo infatti andrebbe all'infinito, poiché infinito è il numero dei viventi e infinito il numero delle cose che ad essi accadono; inoltre, ciò che è in nostro potere non lo sarebbe più e non esisterebbero lodi, biasimi e ogni altra cosa del genere di queste; il fato stabilisce invece che, se un'anima sceglie una vita e fa certe cose, gliene conseguiranno certe altre.

2. L'anima è dunque senza padrone e da essa dipendono il fare e il non fare e ciò che non è sottoposto a vincolo; le conseguenze delle sua azioni invece si compiranno secondo il destino. Ad esempio, al fatto che Paride rapirà Elena, fatto che da lui dipende, seguirà che i Greci faranno la guerra per Elena. Così, infatti, anche Apollo predisse al Laio:

«Se tu genererai un figlio, il figlio ti ucciderà»

Nella legge divina è contenuto Laio e il fatto che egli generi un figlio, ma solo quello che consegue a ciò è predestinato.

3. La natura del possibile sta, in un certo modo, a metà fra il vero e il falso, e ciò che da noi dipende si muove, per così dire, in esso, che è indeterminato per natura; ciò sarà invece o vero o falso. Il possibile si differenzia sia da ciò che si dice essere per abito, sia da ciò che si dice essere in atto. Ciò che è in potenza testimonia qualche attitudine in qualcuno che non ha ancora raggiunto l'abito; così, il fanciullo potrà essere detto grammatico, flautista, artigiano in potenza, ma possiederà l'abito di una o due di queste arti, quando avrà imparato e possiederà almeno in parte tali capacità; e in atto quando agirà secondo l'abito che possiede. Il possibile non è niente di questo, ma, essendo indefinito, diviene o vero o falso secondo l'inclinazione assunta da quanto dipende da noi.

 


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