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Gli "Aurei Detti"

di Pitagora

Da Introduzione alla Magia, a cura del "Gruppo di Ur", Roma, Mediterranee, 1971, 19842, vol. II, pp. 8-9.

a cura di Massimo Onetti Muda

Prima gl'Idii immortali, a norma di lor gerarchia,
adora: e l'Orco poi venera, e i fulgidi Eroi indiati.
Ai sotterranei Dàimoni esegui le offerte di rito,
e ai genitori fa onore, e ai nati più prossimi a te.
Degli altri, ogni più egregio per merito renditi amico,
lui con serene parole, con utili azioni imitando.
Né in ira averlo, per lieve mancanza l'amico, a potere tuo:
ché già, accanto al potere, convive la Necessità.

Quindi di tai cose tu sappi, e sappi infrenar queste altre:
lo stomaco anzitutto, e così il sonno, e sì il sesso,
e sì la brama. Turpezza, perciò, non con altri farai,
e non da solo: pudore abbi anzi con te più di tutto.
Poi sempre, a detti e in fatti, esercitare equità,
e abituarti a mai essere, in cosa veruna, avventato,
e ricòrdati che, insomma, a tutti è pur d'uopo morire.
Quindi, ricchezze, oggi cerca acquistarne, esitarne domani;
e quanti, per daimoniche sorti, han dolori i mortali,
quei che tu n'abbia in destino, sopportali calmo, senz'ira.
Curarli, sì, ti conviene, a tutto potere: e pensare
che non poi molti, ai buoni, la Mòira dolori ne dà.

Discorsi, a umano orecchio, ne sogliono, e vili ed egregi,
battere: tu, né di quelli ti urtar, né da questi permetti
ch'altri ti stolga: e se mai venga detta menzogna, con calma
tu le resisti: ed, in tutto, adempi quanto ora ti dico.
Niuno, né con parole mai, né con opere, a indurti
valga, a mai dire o far cosa che a te poi il meglio non fosse.
Prima di agire rifletti, perciò: che non seguan stoltezze;
ché fare o dir stoltezze, la è cosa da uomo dappoco.
Ma tu le cose farai, che poi non ti nuocciano: niuna,
quindi, che assai bene esperto tu non ne sia; ma, quanto
davvero è d'uopo, impara, e vita lietissima avrai.

D'uopo è così, non già incuria aver per l'igiene del corpo,
ma ed in bevanda e in cibo, e nella palestra, misura
serbar: misura ciò dico, che niuna mai noia ti rechi.
Quindi a una dieta ti adusa, pulita, ma senza mollezze;
quindi dal compier ti astieni ogn'atto che susciti invidia.
Così, oltre il congruo non spendere, a mo' di chi il bello non sa,
nè già esser gretto: misura, in tutto, è davver nobiltà.
Non fare insomma il tuo male, e pondera prima di agire.
Onde anzitutto dal sonno, per quanto soave, sorgendo,
subito dàtti ben cura di quanto in giornata vuoi fare.
E non il sonno negli occhi, per quanto languenti, accettare,
prima che ogn'atto tuo diurno, tre volte abbi tratto ad esame:
"Dove son stato? che ho fatto? qual obbligo non ho adempiuto?"
E dal principio partendo, percorri anche il dopo del dopo.
Bassezze hai fatto? ten biasima. Elette azioni? ti allegra.
Di quelle affliggiti, a queste ti adopra, ed a ciò ti appassiona:
a ciò che della virtus divina sull'orme porrà.

Sì, sì: per Quegli che all'anime nostre ha trasmessa la Tetrade,
fonte alla eterni-fluente Natura. Ma all'opra ti accingi
tu, il compimento pregandone ai Numi: e da essi afforzato,
saprai degli Iddii immortali, saprai degli umani caduchi,
l'essenza ond'uno trapassa, ond'altri si volve ed impera.
Saprai Themi, che sia; Natura, a sé identica ovunque;
e il non sperare l'insperabile, e il non lasciar nulla inspiegato.

Saprai che gli uomini prove sopportan da essi accettate.
Miseri: accanto a loro sta il bene, e nol vede né ode
niuno, e, la liberazione dei mali, la scorgono pochi;
tal Parca il senno ai mortali deprava! E ne son trabalzati
qua, e là, come su mobili rulli, tra urti infiniti.
Trista seguace è congenita in essi un'occulta e maligna
irosità, da eccitarsi non già, ma allentarsi e fuggirsi.
Zeus padre, eh sì, li torresti pur tutti a pur molte sciagure,
se a tutti ti degnassi svelare di qual dàimone han l'uso.

Ma tu, coraggio: l'origine di quei mortali è divina,
a cui Natura va aprendo le arcane virtù ch'ella spiega.
Se di essi in te c'è qualcosa, verrai sin là dove ti esorto,
reintegrato e silente, e l'anima immune da mali.
Ma lascia i cibi ch'io dissi, nei dì che a far pura e disciolta
l'anima intendi: ed osserva, discevera e vàluta tutto,
e Intelligenza sovrana erigi ad auriga dall'alto.

Così, se il corpo lasciando, nell'etere libero andrai,
spirìtuo nume immortale, non più vulnerabil, sarai.

 

adattamento web a cura di EstOvest

 

 

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Testo inserito in data: domenica, 17 gennaio, 1999.

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