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Eduardo Zarelli, Un mondo di differenze. Il localismo tra comunità e società

Arianna Editrice, Casalecchio, 1998, pp. 111, L. 18.000 ISBN 88-87307-03-2

di Giampiero Marano

Il più vistoso tratto distintivo del mondo dell'Ultimo Uomo, la Città Planetaria edificata dalla tecnica a sua immagine e somiglianza, è dato indubbiamente dall'uniformità. L'esperienza quotidiana offre un numero rilevante di testimonianze e prove dirette delle "non poche e non piccole aberrazioni mentali e morali, fra le quali la più vistosa è la mercatizzazione universale" prodotte dalla "razionalizzazione capitalistica" (così si esprime perfino un 'modernista' come L. Pellicani): a questo riguardo, e senza nulla concedere a oltranzismi di vario colore o ad atteggiamenti vittimistici, si possono ricordare le parole di Leopardi secondo cui "l'uniformità è noia, e la noia uniformità".

Il libro di Eduardo Zarelli Un mondo di differenze si presenta come un'agile e utilissima guida alla nuova cultura che tenta di profilare una civiltà non più segnata da quella scissione di lunga data fra idea e vita, unità e molteplicità, che è causa di "noia" e di disagio esistenziale, nonché fattore potenzialmente destabilizzante per la democrazia. Nell'alveo di questa cultura vanno ricondotte tutte le eterogenee istanze di ribellione al totalitarismo della tecno-struttura che, nel corso del Novecento, hanno sostenuto la necessità di un nuovo incanto e denunciato "la confluenza tra liberalismo e tecnoscientismo", possibile, come rileva Zarelli, "perché entrambi si presentano come ideologie immanentiste e razionaliste, fondate sull'inappartenenza, sullo sradicamento individualistico".
È proprio sul versante della critica dell'individualismo che ci imbattiamo in un precursore del calibro di Alexis de Tocqueville, a cui spetta il merito di avere intuito già nella prima metà dell'Ottocento le dinamiche della nascente società di massa. Alla fine del secolo si articola invece la riflessione di Ferdinand Tönnies, che stabilisce la celebre distinzione fra Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società), la prima intesa come totalità organica di passioni e impulsi vitali relazionati, la seconda come meccanismo astratto. Se la comunità, condizione originaria dell'essere umano, appare strettamente connessa al senso dell'appartenenza spirituale e materiale alla terra e alla famiglia, la società si struttura secondo livelli non concentrici, a compartimenti stagni, e concepisce i rapporti interpersonali in termini di conflittualità o di interesse utilitario: perciò, agli occhi del sociologo tedesco, la società non è altro che il dominio dei commercianti e dei capitalisti.

Nei primi decenni del Novecento la "cultura della crisi", osserva Zarelli, pone al centro della propria riflessione il rapporto fra tecnica, burocrazia e massificazione da un lato, disagio esistenziale e alienazione dall'altro: di estrema importanza nell'elaborazione di queste tematiche si rivela allora l'apporto teorico fornito da Simone Weil. Deplorando il ripudio del passato tipico del mondo borghese, considerato anzi "il delitto supremo", la Weil individua nel radicamento, cioè nell'appartenenza ai valori condivisi di una tradizione, l'esigenza primaria e attualmente più misconosciuta dell'anima umana: di contro, il potere del denaro e quello dello stato dissolvono i legami basilari dell'uomo, inducendolo alla disperazione o a un attivismo senza sosta, fonte di ulteriore sradicamento.
Nelle opere di Emmanuel Mounier vengono sottoposti a una dura critica l'individualismo e il pensiero impersonale che, sotto l'aspetto specioso della società ragionevole e umanitaria, nega il valore della persona: a differenza dell'individuo, la persona vive soltanto nella relazione e si afferma nell'offerta di sé poiché, afferma Mounier, "si possiede soltanto quello che si dà".
Un importante contributo alla definizione del panorama teorico della nuova cultura proviene sicuramente dall'antropologia, e in particolare dalle ricerche, come quelle di Mauss, Malinowski e Polanyi, che mettono in luce l'assoluta priorità dello spirito del dono e del principio di reciprocità nel mondo arcaico. Le conclusioni a cui giungono questi autori vengono riprese dal gruppo di sociologi, economisti, storici, filosofi del MAUSS (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali), fondato dal sociologo francese Alain Caillé. Le società moderne, leggiamo nel "manifesto" del movimento, "si pensano innanzitutto come organismi economici di produzione e scambio" regolamentati dalla "ragione utilitaria" (e utilitaria, secondo Caillé, è "ogni dottrina che si basa sull'affermazione che i soggetti umani sono retti dalla logica egoistica del calcolo dei piaceri e dei dolori, dal loro solo interesse o dalle loro preferenze").
Ciò che appare inaccettabile al MAUSS è il fatto che il paradigma razionale-individualistico, imperniato sull'assiomatica dell'interesse, venga ritenuto dalla modernità l'unico possibile in natura, in questo modo delegittimando completamente il modello alternativo rappresentato dal legame antiutilitario, fondamento ed essenza della comunità primitiva, costruito sulla circolarità fra dono e contro-dono.

L'utilitarismo incontra una severa opposizione anche da parte dei pensatori comunitaristi nordamericani. Alisdair MacIntyre, il più noto di essi, opera una rilettura della dottrina aristotelica della virtù (areté) in antitesi alla tendenza dominante del progetto moderno, fallito nel suo tentativo di edificare la morale sulla base di "diritti" individuali astrattamente concepiti. La società non può esistere senza rifarsi invece a finalità comuni, che la definiscono in quanto tale e che le sono peculiari: ciò significa, in altri termini, che l'individualità si risolve nella cittadinanza e che perciò, diversamente da quanto credono i liberali, non si dà un io svincolato dalle contingenze storico-contestuali e in qualche misura anteriore alla comunità stessa.
Nell'orizzonte comunitarista si situano anche gli studi del sociologo francese Michel Maffesoli, attento osservatore di fenomeni di risorgenza dionisiaca come il nuovo tribalismo, nei quali emerge prepotentemente il sostrato arcaico rimosso dalla modernità. Maffesoli elabora l'antitesi tönnesiana fra comunità e società a partire dalle due opposte concezioni del tempo che caratterizzano l'una e l'altra: condizione di possibilità della comunità è la fede nel tempo ciclico, che orienta ritualmente la comunità stessa verso una sorta di assoluto presente, mentre la concezione linearistica proietta la società verso l'alienazione del dover-essere e, si direbbe, la "coscienza infelice".

Un'attenzione particolare è dedicata da Zarelli al pensiero ecologista americano, che ha i suoi principali riferimenti culturali nel trascendentalismo di H. D. Thoreau e nella riflessione heideggeriana sul rapporto fra scienza e tecnica.
In vario modo Wendell Berry, Fritjof Capra e il movimento bioregionalista disegnano le coordinate essenziali di un approccio olistico e anti-utilitario alle delicate questioni dell'ambiente e del localismo, nel quale (contro il totalitarismo omologante della tecnostruttura mondiale) assumono la massima importanza i temi del radicamento, dell'interdipendenza dei fenomeni naturali e del valore delle differenze. Proprio in quest'ambito teorico si può innestare la concezione jüngheriana del "ritorno al bosco" visto non alla stregua di una fuga dalle responsabilità della storia ma in quanto riscoperta della primordiale, vivente sacralità del cosmo: un "cercare", afferma Zarelli, "quel 'Centro del mondo' dove entrare in rapporto con il 'tutto' e sganciarsi come parte del meccanismo".

 

Giampiero Marano

 

 

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Articolo inserito in data: sabato, 12 dicembre 1998.

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