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Processo all'Occidente

La civilizzazione come violenza nel pensiero di Ananda Coomaraswamy e Serge Latouche

di Giovanni Monastra

Radicali trasformazioni esistenziali, culturali e socioeconomiche si sono manifestate dopo l'avvento della modernità, epoca contrassegnata dal concetto di "emancipazione" o "liberazione" (dall'autorità, dalle credenze religiose, dalla fatica, dalla tirannia della natura), elemento centrale cui si possono far risalire molti altri suoi aspetti. Tale evento epocale ha avuto schiere di critici, si pensi solo ai cosiddetti teorici della crisi, di vario orientamento, come Mann, Spengler, Ortega y Gasset, Toynbee, Sombart, Scheler, Keyserling, Guénon, Schuon, Evola, Coomaraswamy, Peguy, Berdjaev, Eliot. A questi, negli ultimi decenni, si sono aggiunti specialisti di varie discipline, quali la sociologia, l'antropologia, l'economia, tra cui ricordiamo solo Dumont, Lasch, Caillè, Latouche, Sahlins, Polany. Essi hanno rilevato l'eccezionalità assoluta della modernità rispetto a quanto hanno prodotto tutte le altre culture premoderne, comprese quelle del nostro continente.
Al di là del giudizio globale, la nostra epoca con i suoi "valori" rappresenta per costoro qualcosa di problematico. Termini una volta enfatizzati, come progresso, scienza, tecnica, sviluppo, industrializzazione, vengono analizzati nella loro concretezza storica e ... smitizzati, mostrandone i risvolti oscuri e antiumani. Quasi tutti questi critici hanno rilevato la carica di violenza insita nella civilizzazione moderna, civilizzazione che, partendo prima dall'Europa e poi in misura ancora più radicale dagli USA, si è riversata sul mondo intero e lo ha trasformato, cercando di uniformarlo al modello unico e intollerante proprio dell'Occidente. In altre parole, quest'ultimo dopo essersi "emancipato" ha ritenuto suo dovere primario emancipare tutti gli altri, naturalmente nel loro "interesse", anche se spesso contro i loro desideri!
Così "civilizzare" i popoli extraeuropei è divenuto sinonimo di "occidentalizzarli", con l'imposizione o con la seduzione, due forme di violenza, l'una palese, l'altra sottile e ipocrita, che hanno annientato, se non fisicamente, per lo meno spiritualmente, moltissime comunità.
Se l'Occidente non ha potuto distruggere il corpo, come ha fatto con le genti della Tasmania o con molte tribù amerinde, ha cercato di manipolare le coscienze, l'anima, al fine di creare un fantoccio utile alla società mercantile, industriale, evoluta (sic!). "La tradizione è nemica del progresso" era scritto nei cartelli posti in molte riserve indiane fino a pochi decenni addietro: i buoni patrioti americani ritenevano disdicevole che esistessero persone sul suolo degli USA più interessate a curare lo spirito che gli affari, più preoccupate di adorare il mondo ultraterreno che il denaro. L'alternativa era (ed è): o utili, o morti. Oggi non viene più dichiarata così brutalmente, ma, di fatto, rimane attuale. Si veda la triste fine che stanno facendo tutte le tribù che vivono in zone d'alto interesse minerario.
Addentrarsi in questo campo così complesso richiede una guida o, meglio ancora, delle guide. Per il nostro, viaggio nel pianeta occidentalizzazione e violenza abbiamo scelto di seguire gli studi di Ananda K. Coomaraswamy e Serge Latouche, le cui osservazioni e analisi si integrano in modo esemplare, quasi spontaneo, nonostante il diverso retroterra culturale ed esistenziale dei due autori.

Coomaraswamy (1877 - 1947), figlio di un tamil di Ceylon e di una inglese, ha potuto osservare la prima fase del processo di occidentalizzazione dell'Asia, avvantaggiato dalla condizione che gli derivava dalla diversa origine dei genitori e dalla conoscenza diretta sia dell'Inghilterra e degli USA che dell'India, luoghi in cui abitò durante la sua vita. Si laureò in Geologia e Botanica a Londra, ma dopo alcuni anni di ricerche scientifiche, per altro fruttuose, abbandonò questo campo e volse i suoi interessi verso lo studio dell'arte, in particolare di quella premoderna e arcaica, e poi della metafisica. Coomaraswamy, per lo meno nella seconda parte della sua esistenza, fu un tradizionalista rigoroso, legato a una concezione verticale e sacrale della vita e del mondo, idee certo "impopolari" che lo hanno reso talora inviso o incompreso.

Il francese Latouche, attualmente docente all'Università di Parigi XI, economista e sociologo, di formazione pluridisciplinare, essendosi interessato pure di psicanalisi, etnologia e filosofia, analizza invece la fase terminale o comunque "matura" del processo di occidentalizzazione o "civilizzazione" del mondo. Latouche, dopo una fase marxista, oggi superata, è approdato a posizioni di sinistra eterodosse, difficilmente classificabili, caratterizzate dalla critica di alcuni feticci della modernità: razionalità economica, individualismo, assiomatica dell'interesse. Fa parte del MAUSS, il Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali, con Alain Caillé, Gerard Berthoud, Ahmet Insel, Chantal Mouffe.

Osservando i processi di alienazione indotti dall'introduzione del modello occidentale di vita negli altri paesi, Coomaraswamy privilegia l'analisi delle trasformazioni legate al mondo delle idee religiose e sapienziali, a cui la vera arte non è estranea, con il relativo impoverimento spirituale dovuto alla decadenza, frutto della civilizzazione. Latouche invece preferisce mettere in luce i processi storici e socio-economici che sostanziano l'intero fenomeno di uniformizzazione planetaria, i cui esiti finali sono sotto i nostri occhi.

Ambedue, comunque, osservano che l'ideologia occidentalista, resasi autonoma come un cancro, sta distruggendo anche la stessa specificità e i caratteri del vecchio continente.
Quanto alle risposte offerte dai due studiosi per uscire dall'attuale situazione, il primo fa rifermento a un ordine di valori trascendente e atemporale da rendere di nuovo operante nel vivere civile, riscattato dal materialismo moderno, il secondo propone una nuova antropologia plurale,che non ripudi in toto la modernità, ma la inserisca in un contesto diverso, libero dalla tirannia dei contro-valori legati alla sfera dell'egoismo individualistico e del puro utile, dell'economico reso autonomo e privo di limiti.
Forse una riflessione su questi due "punti di vista" potrà contribuire a offrire nuova forza a una cultura rinnovata, e attrezzata per affrontare in positivo le sfide della modernità.

 

Giovanni Monastra


Articolo inserito in data: giovedì, 1 ottobre, 1998.

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