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Lo "Yin-Yang" tra le insegne dell'Impero romano?

di Giovanni Monastra

da «Futuro Presente», a. IV, n. 8, inverno 1996.

I simboli che racchiudono in sé ed esprimono le conoscenze sapienziali costituiscono un campo di indagine affascinante, perché ci introducono in un mondo diverso rispetto a quello consueto per la cultura moderna. Quest'ultima, infatti, è legata a un tipo di sapere discorsivo e razionalistico, invece il simbolo esprime una dimensione non verbale, legata all'immagine e alla immediatezza.
Mentre la cultura moderna, laica, tende a basarsi su elementi chiari e distinti, secondo la concezione cartesiana, di stampo analitico, dove il significato è il più possibile univoco, inquadrato in schemi chiusi, la sapienza tradizionale, intrinsecamente religiosa, se non metafisica, si esprime su vari piani, senza limitarsi a quello verbale: è quindi più ricca e complessa, ma al contempo sintetica. Nel suo orizzonte il simbolo, per definizione, costituisce una realtà del sovramondo, del trascendente, che si manifesta nella sfera umana. Non è il frutto di un arbitrio individuale, di una scelta estetica, ma deriva da una serie precisa di "corrispondenze", in quanto esiste una scienza oggettiva dei simboli seguendo la quale vengono attribuiti i significati alle figure, siano esse riprese dal mondo delle forme geometriche o da quello della natura.
Di fronte alla univocità del segno quale oggi lo conosciamo, il simbolo è invece polisemantico: infatti racchiude diversi significati, che in esso sono fusi ma non confusi, essendo interpretabile a vari livelli. Risulta subito evidente che in questa definizione non può entrare il simbolismo "moderno", soggettivo e arbitrario, di tipo sentimentale, quale, ad esempio, traspare dalle arti figurative contemporanee.
Seguendo un itinerario di ricerca in questo mondo arcaico e, al contempo, a noi presente in quanto eterno, ho avuto modo di osservare alcune corrispondenze figurative tra Oriente e Occidente, corrispondenze che non mi risulta siano state fino ad oggi rilevate.
Infatti, consultando una copia, pubblicata nell'Ottocento, di un testo scritto tra il IV e il V secolo d.C. negli ambienti della corte dell'Impero Romano, la Notitia dignitatum, considerato un "elenco delle cariche" dell'amministrazione civile e militare dell'Impero e contenente molti emblemi, ho trovato almeno due (se non tre) simboli identici alle figure cinesi dello yin-yang.

L'argomento è stato affrontato in un articolo, pubblicato nella rivista Futuro Presente, n.8 (reperibile anche presso la Libreria Editrice Europa, Via S. Veniero 74/76, 00192 Roma), qui di seguito riprodotto.

 

La Notitia dignitatum

La Notitia dignitatum è un antico testo di rilevante importanza: potrebbe essere definita come un "elenco delle cariche", un "ruolo organico" dell'amministrazione civile e militare dell'Impero Romano tra la fine del IV e il V secolo d.C. Il titolo completo è Notitia dignitatum omnium tam civilium quam militarium e risulta diviso in due sezioni, in corrispondenza della bipartizione Oriente-Occidente che contraddistingueva ormai l'Impero.
Enumera i funzionari, prima in un indice, poi nei particolari, indicando i titoli ufficiali e raffigurando le insegne che contrassegnavano i vari settori e reparti: si inizia con i prefetti al pretorio e con le altre cariche dell'amministrazione centrale per passare alle autorità delle provincie, di cui vengono definite le competenze territoriali, le funzioni o le truppe dipendenti, talora costituite in Occidente da tribù barbariche. Cronologicamente non è unitario nella sua compilazione. Va considerato redatto in tempi leggermente diversi: secondo gli studi più recenti, la parte riguardante l'Impero Romano d'Oriente data a partire dal 395 d.C. circa, quella attinente l'Impero d'Occidente fra il 410 e il 430 circa, con alcune stratificazioni dovute agli aggiornamenti.
Risulta, quindi, un documento storico di estremo interesse, una fonte preziosa, se usata criticamente, per comprendere la struttura imperiale nel IV-V secolo, la sua organizzazione nell'ambito civile e militare. Per l'elevato valore documentario ha richiamato l'attenzione di storici della romanità, tra cui Mommsen, Altheim, Seeck, Mazzarino, Cameron, Clemente. A quest'ultimo, docente di Storia Romana presso l'Ateneo di Firenze, dobbiamo uno dei migliori lavori sull'argomento1, a cui andrebbe affiancato il testo di Pamela Berger, ricercatrice nel campo dell'arte antica, specializzata in iconografia2.
Un aspetto importante riguarda l'origine del documento, ossia la sede in cui fu stilato, mancandone la precisa indicazione nel testo. Come sottolinea il Clemente, numerosi elementi ci permettono di escludere che la Notitia a noi pervenuta sia stata redatta da qualche privato, data la ricchezza delle informazioni ivi contenute, molto difficilmente reperibili da persone estranee agli ambienti ufficiali. Infatti, se si paragona questo testo a uno analogo per intendimenti, ma di origine privata, steso mediante l'assemblaggio acritico di fonti differenti e contraddittorie, come il laterculus Polemii Silvii, emerge una profonda differenza qualitativa e quantitativa.
La Notitia, quindi, va ritenuta un'opera scritta negli ambienti della burocrazia imperiale3, con tutta probabilità d'Occidente, per quel che riguarda la versione giunta in nostro possesso. Infatti, le correzioni riscontrabili, dovute agli aggiornamenti, sembrano riguardare principalmente l'area occidentale dell'Impero. Il Cameron ne limita in parte il valore documentario sull'amministrazione civile e militare romana, asserendo che, data la sua storia composita, risulta più un testo prescrittivo che descrittivo: a suo parere, servono altre fonti per dimostrare che in esso venga riportata sempre l'effettiva organizzazione dello Stato4).
Ma, al di là di certe riserve, per altro condivise solo da alcuni studiosi, rimane il fatto che la Notitia si inserisce in una tradizione collaudata, iniziata forse già ai tempi di Augusto, quando si avvertì "l'esigenza di una raccolta di dati che desse all'imperatore e, quindi, ai suoi uffici centrali, un quadro completo della organizzazione amministrativa e militare" dell'Impero5. Per cui possiamo pensare a un "annuario", in senso lato, steso in forma lussuosa, date le numerosissime decorazioni policrome, e particolareggiato nella documentazione, che l'alta burocrazia forniva all'imperatore6.
La Notitia Dignitatum, secondo la Berger, è un documento che "cerca di perpetuare il retaggio imperiale romano in un tempo in cui esso manteneva ben poco della forza o del prestigio precedenti... La Notitia esprime un'inequivocabile ideologia del potere gerarchico - un potere che emana dall'imperatore... e permea le province più lontane"7.
Noi oggi siamo in possesso unicamente di copie di una copia del manoscritto originario: dobbiamo, quindi, accennare alle vicissitudini della trasmissione di questo testo fino all'epoca moderna. L'insieme dei dati concernenti le cariche e le insegne, probabilmente nel IX secolo, era stato riportato nell'antico Codex Spirensis8, il cosiddetto "manoscritto di Spira" (Speier), città tedesca situata nella Renania-Palatinato, da cui, poi, furono tratte direttamente almeno quattro copie. Come ha evidenziato molti anni addietro il Sabbadini, tale manoscritto, conservato nel Medio Evo presso la biblioteca del duomo di Spira dopo essere stato quasi ignorato per secoli, fu scoperto da un "italiano, Pietro Donato, patrizio veneto, vescovo di Padova dal 1427 al 1447, che trovandosi nel 1436 al concilio di Basilea, se lo fece venire da Spira e se lo copiò egli stesso"9. Questa riproduzione è attualmente conservata nella biblioteca di Oxford. Le tre copie successive, che prendono il nome dalla città in cui si trovano ora custodite, sono il cosiddetto codice Viennese (Vindobonense), trascritto nel 1484, quello parigino del XV secolo, e quello monacense, forse l'esemplare migliore, riprodotto con estrema attenzione e cura10 dai chierici, a Spira tra il 1544 e il 1551, e donato al conte palatino Ottone Enrico, come si evince dall'iscrizione.
Dopo questa data si perdono le tracce del manoscritto originale, che viene considerato ormai irrimediabilmente smarrito. Dai quattro esemplari sopra menzionati furono poi ricavate ulteriori copie. Gli studiosi dell'antichità classica sono concordi nel ritenere i codici in nostro possesso pienamente fedeli al testo originario anche per quel che riguarda le figure, salvo alcune influenze dello stile tipico dell'epoca in cui lavorarono i copisti. Tra i quattro codici esiste un buon accordo sotto molteplici punti di vista, nonostante gli inevitabili problemi derivanti dalla tradizione manoscritta. L'iconografia in essi contenuta trova interessanti raffronti con esempi di arte antica e tardo romana, come hanno dimostrato Altheim, Berger e altri.

Insegne e simboli

Al di là del valore documentario per la ripartizione amministrativa e militare della tarda romanità, esiste anche un altro aspetto di notevole rilievo, attinente al campo del simbolismo metafisico-religioso e sapienziale: ci riferiamo alle informazioni che possono derivare dallo studio delle varie insegne, a quattro colori, giallo, azzurro, rosso e bianco, minuziosamente riportate nella Notitia dignitatum e attribuite ai diversi reparti imperiali. In questo settore intendiamo focalizzare la nostra attenzione.
Il significato che il codice riveste in particolare per noi, in quanto archivio di simbologia tardoimperiale, molto attendibile, è notevole, come vedremo. Infatti, più si risale nell'antichità, più il significato di tutti gli aspetti del vivere umano risultano permeati dalla dimensione del sacro anche in Occidente: nulla è laico in senso moderno, tutto lascia trasparire un ordine di conoscenze sapienziali, di una coerenza stringente, quindi appare poco credibile parlare di segni e simboli raffigurati per motivi estetici o comunque semplicemente profani, materiali. In questo testo ne troviamo esempi significativi.

"In più di venti pagine - ha scritto F. Altheim - la Notitia dignitatum conteneva quasi trecento insegne dei distaccamenti militari del basso impero, rappresentate a colori. In questo antichissimo libro araldico si trovano molte cose che non corrispondono più alla concezione dell'antichità classica. Molto spazio occupano le riproduzioni di simboli di origine medio e nord-europea. Si riconoscono animali da tiro e ornamenti per i carri, usuali presso i popoli asiatici e dell'Europa orientale, oppure rune germaniche impiegate, secondo l'uso antico, come simboli e non come segni fonetici. In uno di questi disegni compare Wodan, in una forma che ricorda il divino portatore di lancia dei graffiti rocciosi di Bohuslan, del Gotland orientale e della Val Camonica. Un simbolo antichissimo come la runa dell'alce si incontra nelle insegne di truppe illiriche o celtiche.
La maggior parte delle insegne si riferisce agli astri, soprattutto al sole e al suo corso. Sono stelle o dischi, che emettono raggi in ogni senso. Accanto ad essi vi sono disegni a forma di ruota, che ricordano segni corrispondenti nelle rocce graffite, o la ruota celtica, indubitabile simbolo del sole... Presso le truppe germaniche s'incontra la mezzaluna, legata al disco solare.
Cerchi concentrici hanno analogo significato: anch'essi sono riprodotti sulle rocce della Scandinavia, presso i Celti e gli Illiri. La croce uncinata, anch'essa uno dei simboli tipici del sole, appare in molte varianti... Il simbolismo solare, nelle sue diverse espressioni, informa quasi la metà delle insegne che si trovano nella Notitia dignitatum11."

Abbiamo voluto riportare per intero le parole del grande storico della romanità, Franz Altheim, in quanto descrivono sinteticamente, ma in modo efficace, il contenuto simbolico del codice tardo-imperiale. Importanti riferimenti a questo testo Altheim li aveva già fatti in precedenza, ad esempio in un approfondito articolo apparso in Germania nel 1938 e mai tradotto in italiano12. In esso lo studioso tedesco, approfondendo alcuni studi dell'Alfoldi, identifica nei particolari le rune che compaiono, ciascuna anche più volte, negli stemmi della Notitia Dignitatum: othila, jera, inguz13. Esse, in alcuni casi risultano abbinate a figure di corna che rimandano al toro (e non al montone), la cui simbolizzazione "astratto-lineare, ... forma originariamente germanica"14, emerge da un contesto coerente di dati, dalle incisioni rupestri di Tanum e della Val Camonica alla piastra di Zuschen. Ciò risulta in accordo col fatto che "oltre a cinghiale, orso e lupo è il toro l'animale con il quale viene paragonato il guerriero germanico e nel quale egli talvolta si trasforma"15, come evidenziato anche dalle figure della piastra bronzea forse proveniente da un elmo di Bjornhofda (Olanda).

Parlando del valore delle insegne sacre, René Alleau ha rilevato che, ad esempio, "il labarum di Costantino o l'orifiamma nelle tradizioni medievali francesi non sono pure convenzioni sociali e profane. Queste insegne avevano un senso magico-religioso perché erano cariche di un potere misterioso che si riteneva capace di assicurare la vittoria all'esercito che inalberava quel simbolo sacro"16. Infatti, l'essenza del simbolo è il suo riferimento al non-umano, al trascendente. Quindi il suo valore è oggettivo.

Lo Yin-Yang a Roma?

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Abbiamo visto prima che Altheim ha individuato, tra le insegne della Notitia dignitatum, la presenza di ornamenti dei carri tipici dei popoli asiatici, intendendo, comunque, le genti del medio Oriente, come risulta dal contesto del libro da cui abbiamo preso la citazione. Però, in generale, lo studioso tedesco sottolinea solo il simbolismo ascrivibile alle popolazioni arie, del ceppo nordico. Non fa alcun accenno alla presenza di almeno una insegna17 la quale raffigura un simbolo bicromo, giallo e rosso (fig.1), graficamente del tutto simile al Tai-Chi della tradizione cinese, comprendente lo yin e lo yang appaiati, nero il primo e bianco il secondo (fig.2), nella loro raffigurazione "dinamica", espressa con rotazione in senso orario. Tale insegna identifica gli Armigeri, compresi nella sezione (Cap. V) delle Insignia viri illustris magistri peditum, cioè reparti di fanteria, dell'Impero Romano d'Occidente.

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fig. 1 - Pagina della Notitia dignitatum con simboli solari e lo 'yin-yang' raffigurato nella sua versione 'dinamica', con rotazione in senso orario (terza insegna, nella seconda riga dal basso): costituisce il simbolo degli Armigeri dell'Impero Romano d'Occidente.
Nel testo originale i simboli sono policromi: nell'edizione del Seeck, in bianco e nero, i colori sono resi con diverse tratteggiature.
Righe orizzontali: azzurro; righe verticali: rosso; punteggiato: giallo.
Il bianco, naturalmente, è reso come tale. Uno dei due tondini presenti nel campo opposto non è del colore complementare, anche se si differenzia dal fondo: non sappiamo se si tratti di un errore di copiatura, presente già nel Codex spirensis, o se il simbolo originario era realmente così.

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fig.2 - Tai-Chi con yin e yang ruotanti in senso orario e antiorario, due possibilità compresenti nella simbologia cinese.

Abbiamo ritrovato lo stesso simbolo, disegnato però in senso antiorario, con lievissime modifiche e senza colori (fig.3), nel volume curato da Sigismundus Gelenius, edito a Basilea nel 1552 da Hieronymus Frobenius (fig.4), dove, secondo il Clemente, è stata utilizzata "una tradizione diversa" dal Codex Spirensis18, mentre la Berger addirittura lo ritiene una copia della Notitia, la prima a stampa, redatta direttamente dal testo medievale ora perduto19.

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fig.3 - Tavola con simboli dei reparti militari dell'Impero Romano d'Occidente, contenuta nel volume edito a Basilea nel 1552. Anche in questo testo gli Armigeri hanno lo yin-yang come emblema, raffigurato però in modo leggermente diverso da quello che compare nel testo curato dal Seeck. Infatti non c'è differenziazione cromatica, uno dei due principi avvolge l'altro e la rotazione avviene in senso antiorario.

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fig.4 - Prima pagine del volume edito dal Frobenius a Basilea nel 1552. Secondo il Clemente questo testo fu redatto utilizzando "una tradizione diversa" dal Codex Spirensis.

Accanto a questa insegna segnaliamo anche quella dei Thebei (fig.5), appartenente alla stessa sezione20, assimilabile invece allo yin-yang cinese nella sua versione "statica" (fig.6), costituito da tre o più cerchi concentrici, divisi dal diametro in semicerchi bicromi, con i colori opposti e alternati, in modo tale che su ciascuna metà i due colori si susseguono in un ordine inverso a quello della metà opposta. Anche in questo caso abbiamo il giallo e il rosso, invece del bianco e del nero.

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fig.5 - In questa pagina della Notitia dignitatum appare lo yin-yang in versione "statica" (in centro, nella terza riga dal basso), che presenta gli stessi colori della forma "dinamica" (fig.1), giallo e rosso. Costituisce l'emblema dei Thebei, inquadrati anch'essi nell'armata dell'Impero Romano d'Occidente.

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fig.6 - Il "Diagramma del Polo Supremo" (Tai Chi Thu) di Chou-Tun I (1017-1073). Il secondo cerchio dall'alto è il cosiddetto "yin-yang statico" ed è contrassegnato, sulla sinistra, dalla scritta "Yang, moto", e sulla destra dalla scritta "Yin, quiescenza". Sotto ci sono i cinque elementi. Il secondo cerchio è contrassegnato, sulla sinistra, dalla scritta: "Il Tao di Chhien, che perfeziona la mascolinità", e, sulla destra, dalla scritta: "Il Tao di Khun, che perfezionala la femminilità". Sotto il cerchio più basso c'è scritto: "Le miriadi di cose che sono soggette a trasformazione e a generazione".

Non ci risulta che alcuno tra gli studiosi della romanità, specie tra quelli attenti alle influenze culturali asiatiche, come il Cumont, abbia rilevato questo fatto, già di per sé quanto meno degno di nota. Nemmeno la Berger vi ha prestato attenzione, forse perché interessata principalmente a una indagine "stilistica" del contenuto artistico del testo. Altrettanto si può dire dei sinologi, nessuno dei quali evidentemente conosce bene l'iconografia della Notitia dignitatum, né ha ricevuto eventuali segnalazioni dagli specialisti di antichità classica o di simbolismo: infatti, scorrendo la principale letteratura dedicata ai rapporti culturali tra Oriente e Occidente non abbiamo trovato nulla in proposito. Il che, se confermato, potrebbe stimolare qualche amara riflessione su certo specialismo col paraocchi che sa "vedere" solo quello che conosce bene e conduce le ricerche senza uscire dai limiti angusti del proprio campo di indagine.
Naturalmente, ammettendo la validità storica del dato qui presentato, rimangono aperte varie ipotesi sul suo significato simbolico in ambito occidentale e sulla sua origine (trasmissione verticale esoterica, convergenza figurativa, diffusione orizzontale, ecc.). In un'ottica radicalmente diffusionista l'orientalista francese Luce Boulnois, analizzando in un recente libro i contatti intercorsi tra Cina ed Europa nell'antichità classica ha scritto: "Per ciò che concerne i due grandi sistemi di pensiero cinesi, il confucianesimo e il taoismo, si può affermare che nemmeno una briciola ne fosse entrata in occidente ..., né oralmente, né per scritto...[non arrivò] nessuna idea tipicamente cinese, come il concetto fondamentale degli elementi complementari Yin e Yang"21. Altri autori, tra cui lo stesso Joseph Needham, attentissimo nell'indagare i rapporti tra Cina e Occidente, fin dai primordi, in tutti i settori, propendono a credere che certe informazioni sul confucianesimo giunsero in Europa nei primi secoli dell'era volgare22.
Il Mahdihassan, invece, facendo riferimento a possibili contatti tra il mondo alessandrino e gli alchimisti cinesi, suppone che l'Uroboros, il serpente di due colori che si morde la coda, sia un analogo dello yin-yang o, meglio, esprima la stessa idea raffigurata dalla iconografia cinese con questo simbolo, ma non accenna a quanto da noi evidenziato23.
Eppure la rigida visione diffusionista dei fenomeni culturali e religiosi, così comune tra questi studiosi, avrebbe potuto trovare, nel dato in questione, inaspettati stimoli per varie elucubrazioni sulle migrazioni dei simboli lungo le rotte commerciali. Certo non si tratta della prima identificazione nell'antico occidente di un simbolo raffrontabile con lo yin-yang cinese, ma i pochi reperti finora trovati sono di discutibile significato, come nel caso delle decorazioni apparse dal III secolo a.C. nell'area culturale celtica24. Infatti si tratta di accoppiamenti di foglie separate da una linea a S, dove però non esiste la compenetrazione di un elemento complementare nell'altro, simbolizzata dal cerchietto di colore diverso iscritto nella zona tondeggiante dello yin e dello yang.
Ancora va rilevato che, nei manufatti celtici, le due parti non sono sempre differenziate cromaticamente, come invece avviene per il simbolo cinese. L'analogia risulta quindi assai parziale. Va comunque segnalato che un qualcosa di simile appare in un mosaico posto sulla soglia di una casa romana di Sousse (Tunisia), dove l'artista ha usato tinte diverse per le due metà del cerchio, ma non ha inserito i cerchi piccoli25.

La migrazione di un simbolo

Ritornando alle due insegne della Notitia dignitatum, accenniamo ai problemi del significato e della origine storica della iconografia. Sarà opportuno, in primo luogo, ricordare il valore simbolico che riveste lo yin-yang per i cinesi. "La tradizione estremo-orientale, nella sua parte propriamente cosmologica, - scrive René Guénon- attribuisce un'importanza capitale ai due princìpi, o, se si preferisce, alle due categorie che designa con i nomi di yang e di yin: tutto ciò che è attivo, positivo o maschile è yang, tutto ciò che è passivo, negativo o femminile è yin. Queste due categorie sono collegate simbolicamente alla luce e all'ombra; in ogni cosa, il lato luminoso è yang, ed il lato oscuro è yin; ma non trovandosi mai l'uno senza l'altro, essi appaiono più come complementari che come opposti"26. La compenetrazione reciproca dei due poli, che sono propri della sfera cosmologica e che derivano dal Principio Assoluto non-duale, viene simbolizzata dal cerchietto bianco yang nel campo nero yin e viceversa, particolare che differenzia tale dottrina da qualsiasi pensiero di tipo manicheo, basato sulla opposizione irriducibile bene-male. Infatti gli stessi termini positivo e negativo, usati dal Guénon, rivestono solo un valore tecnico e vanno assunti in un contesto privo di sfumature moralistiche.
Allo yin e allo yang, definiti anche Cielo e Terra, viene fatta risalire la manifestazione del mondo. Infatti nei testi sapienziali, come il Tao-te-ching, il principio assoluto o "supremo vuoto", genera l'Essere come sua prima determinazione, al cui interno si forma la diade metafisica dello yin e dello yang, polarità-radice del molteplice, cioè della manifestazione. Dalla loro fusione in vari equilibri nascono quindi gli esseri umani, la natura vivente e l'intero cosmo. In termini ripresi dal simbolismo numerico potremmo affermare che dallo Zero metafisico (il Tao) sorge l'Uno (l'Essere) e da questo il Due (yin-yang) che unendosi danno origine ai diecimila esseri. Non sappiamo, invece, quale significato esprimessero nella romanità i due simboli della Notitia dignitatum. Avevano forse una origine alchemica? Gli stessi colori, giallo e rosso, potrebbero prestarsi a varie interpretazioni, data la loro complessa simbologia, che può cambiare anche in base alla tonalità. In questa sede ricordiamo solo che in Estremo Oriente gialla è la direzione del Nord, mentre il rosso è il colore del Sud. Ancora: il giallo è un colore di luce, analogo al bianco, quindi solare, virile, mentre esiste un rosso "notturno", femminile, rapportabile al nero.
La concezione di due poli complementari, solo apparentemente opposti, è assai più diffusa di quanto si voglia credere, anche in Occidente, nonostante l'ossessione moderna di interpretare ogni polarità arcaica in senso manicheo. Inoltre dobbiamo notare che, a volte, in epoche di decadenza, quale fu il tardo impero, alcuni elementi esoterici "emergono" dalle vene sotterranee del sapere sapienziale o, più spesso, di alcune sue componenti degenerate o in via di degenerazione e vengono "popolarizzati": talora diventano simboli del tutto ignorati nel significato più profondo, che viene dimenticato, rimanendo in uso magari solo per il loro carattere di "potenza magica" (la svastica, in moltissime aree, viene considerata positiva per il suo significato augurale e propiziatorio). Dal nostro punto di vista è poco rilevante sapere se il reparto degli Armigeri, o quello dei Thebei, portasse, di fatto, le insegne con lo "yin-yang", anche se è verosimile che ciò avvenisse, dato il significato sacrale, o, quanto meno, magico che doveva possedere. Bisognerebbe indagare se i decoratori, che lavoravano sul testo degli scrivani, si basavano su dati certi, provenienti dall'esercito, come è molto probabile27, o se la definizione iconografica veniva decisa talora in ambito burocratico, per differenziare le truppe. Comunque, l'importante è che nell'ambito dell'élite imperiale occidentale lo "yin-yang" era noto. Tornando al problema della "emersione" dei simboli in epoche di decadenza e crisi, non sappiamo se allora avvenne qualcosa del genere, almeno nei due casi esaminati: infatti, dischi solari e rune facevano parte ampiamente anche del patrimonio "culturale" dell'antico Occidente, e quindi il fatto di trovarli fra le insegne militari non sembra possa indicare un "salto di livello", mentre lo "yin-yang" appare quasi sbocciato dal nulla, se si eccettuano i ritrovamenti celtici e tunisini di epoca romana, che andrebbero ripensati. Crediamo possa essere interessante approfondire le ricerche, specie da parte degli studiosi di simbolismo, i quali ci sembra abbiano fortemente trascurato questo testo, meritevole, a nostro parere, di un'attenzione pari, se non superiore, a quella che gli è stata riservata sotto il profilo storiografico. Per quanto concerne l'aspetto della comparsa della iconografia dello "yin-yang" nel corso del tempo, va ricordato che in Cina le prime raffigurazioni dello yin-yang, almeno quelle giunte a noi, risalgono all'XI secolo d.C., anche se di questi due principi si parla già dal IV-V secolo a.C. Col Notitia dignitatum siamo invece nel IV-V secolo d.C., quindi, dal punto di vista iconografico, in anticipo di quasi settecento anni sui dati provenienti dalla Cina.
Tutto ciò riveste poco interesse sotto il profilo "tradizionale", data la concezione atemporale, trascendente e universale del sapere esoterico, derivato da una Tradizione Primordiale irradiatasi tra tutti i popoli, secondo l'insegnamento di Guénon, Coomaraswamy, Evola, ma potrebbe costituire un piccolo rompicapo per gli "addetti ai lavori" di orientamento storicista ed evoluzionista.
In questa sede abbiamo voluto solo porre la questione nella cornice dei dati a nostra conoscenza.

 


Note

1- G. Clemente, La "Notitia dignitatum", Editrice Sarda Fossataro, Cagliari 1968. Si tratta di un corposo studio dedicato principalmente all'analisi critica del testo tardo-imperiale, con riferimento a data di compilazione, origine, funzione, destinazione e coerenza della parti. A nostra conoscenza si tratta dell'unica opera apparsa in Italia, almeno a questo livello di accuratezza storiografica. Dello stesso autore ricordiamo anche: G. Clemente, Guida alla storia romana, Mondadori, Milano 1990. torna al testo ^

2- P. Berger, The Notitia Dignitatum, Ann Arbor, 1975. Questo studio è particolarmente attento agli aspetti tecnico-formali dell'apparato iconografico, oltre che a quelli storico-artistici. torna al testo ^

3- G. Clemente, La "Notitia" ecc., cit., p.360. La Berger ritiene invece (The Notitia ecc. cit., p.18 e segg.) che, mancando, a suo parere, nella Notitia Dignitatum i segni della presenza, ormai diffusa, del cristianesimo, la sua stesura debba essere ascritta all'ambiente aristocratico pagano-conservatore di Roma e non alla corte imperiale ormai cristianizzata. L'osservazione della studiosa americana non ci pare pertinente, sia considerando che la prima compilazione del documento dovette essere antecedente all'epoca caratterizzata dall'intolleranza religiosa contro i "pagani", sia notando la presenza di numerosi simboli cristiani, forse da lei trascurati. Per altro, più avanti la Berger ridimensiona l'affermazione iniziale e ipotizza la possibilità di una stesura in ambito di corte (ivi, pp. 167-8). torna al testo ^

4- A. Cameron, Il tardo impero romano, il Mulino, Bologna 1995, p. 40. torna al testo ^

5- G. Clemente, La "Notitia" ecc. cit., p.369. torna al testo ^

6- Ivi, p.382. torna al testo ^

7- P. Berger The Notitia ecc. cit., pp. 20 e 23. torna al testo ^

8- La Berger, in base ai dati di paleografia, si sente in grado di affermare solo che il codice medioevale venne redatto in un periodo compreso tra l'825 e l'inizio dell'XI secolo (ivi, p.23). Motivi stilistici presenti nella Notitia si trovano sia nell'arte carolingia che in quella ottoniana. torna al testo ^

9- R. Sabbadini, in Studi italiani di filologia classica, XI, 1903, p.258. In questa copia del codice di Spira esiste una iscrizione ad opera dello stesso Pietro Donato, il quale informa il lettore su fatti e date concernenti tale stesura (Berger, The Notitia ecc. cit., p.37). torna al testo ^

10- O. Seeck, Prefazione alla Notitia dignitatum, Wiedmann, Berlino 1876, p. IX e XXVIII. Sugli sforzi di Ottone per avere una copia dei disegni aderente all'originale cfr. Berger, The Notitia ecc. cit., pp. 42-9. torna al testo ^

11- F. Altheim, Il dio invitto, Feltrinelli, 1960, pp.147-8. Su un altro versante, l'Altheim si è interessato ai rapporti esistiti a livello preistorico tra Asia ed Europa nel saggio Primo rapporti tra Oriente e Occidente in I Propilei - Grande Storia Universale (Mondadori, Milano 1968). torna al testo ^

12- F. Atheim, Runen als Schildzeichen, in Klio, 31, 1938, pp.51-59. torna al testo ^

13- Sul significato di queste rune cfr. M. Polia, Le rune e i simboli, il Cerchio - il Corallo, Padova 1983. torna al testo ^

14- F. Altheim, Runen ecc. cit. p.53. Ringrazio il dr. G. Kirschner per la traduzione del testo di Altheim. torna al testo ^

15- Ivi, p. p.54. torna al testo ^

16- R. Alleau, La scienza dei simboli, Sansoni, Firenze 1983, p.30. torna al testo ^

17- Notitia dignitatum, a cura di O. Seeck, cit., p.118. Nel testo curato dal Seeck, dove le figure sono in bianco e nero, il diverso cromatismo è espresso con differenti tratteggiature. Per la parte iconografica, facciamo riferimento principalmente alla versione del Seeck in quanto è la più attendibile per accuratezza grafica e si basa sul codice conservato a Monaco, presso la Bayerische Staatsbibliothek (Handschriftenabteilung), dove abbiamo potuto verificare di persona la fedeltà del testo del Seeck rispetto al modello (ringraziamo la sig.ra Foohs per la cortese collaborazione). Abbiamo trovato solo rarissimi dettagli differenti, esclusivamente per quanto concerne i colori: nulla però riguarda i simboli da noi presentati. Alcune foto a colori, riproducenti pagine della copia della Notitia dignitatum conservata ad Oxford si trovano nell'interessante volume di Tim Cornell e John Matthews, Atlante del mondo romano (Istituto Geografico De Agostini, Novara 1984, in particolare: pp.202-203): già da questi pochi esempi si può apprezzare anche il valore artistico dell'antico codice tardo-imperiale, purtroppo non evidente nel volume curato dal Seeck e nemmeno nelle numerose altre copie in bianco e nero eseguite durante i secoli scorsi. torna al testo ^

18- G. Clemente, La "Notitia" ecc. cit., p.27. torna al testo ^

19- P. Berger, The Notitia ecc. cit., p.41. torna al testo ^

20- Notitia dignitatum, a cura di O. Seeck, cit., p.115. Vogliamo segnalare anche la presenza di un altro disegno in cui si potrebbe riconoscere di nuovo lo yin-yang in forma dinamica (è l'insegna dei Mauriosismiaci). Il Seeck lo raffigura monocromaticamente, mentre in realtà l'originale è da una parte giallo e dall'altra quasi bianco. Si tratta, appunto, di uno dei rarissimi casi di "infedeltà" da imputare allo studioso tedesco. torna al testo ^

21- L. Boulnois, La via della seta, Rusconi, Milano 1993, p.114. torna al testo ^

22- J. Needham, Scienza e civiltà in Cina, Einaudi, Torino 1981, vol. I, p.182 e segg. torna al testo ^

23- Cfr. S. Mahdihassan, Comparing Yin-Yang, the Chinese symbol of creation, with Ouroboros of Greek alchemy, in Am. J. Chin. Med., 1989, 17. pp.95-8. torna al testo ^

24- P. M. Duval, I Celti, Rizzoli, Milano 1991, pp. 67, 97 e 282. Devo questa segnalazione sui Celti al professor Alessandro Grossato. torna al testo ^

25- Ivi, p.282. torna al testo ^

26- R. Guénon, La grande triade, Atanor, Roma 1971, p.28 e segg. Su questo argomento e, più in generale, sulle dottrine sapienziali cinesi, cfr.: Matgioi, La via metafisica, Basaia, Roma 1983; P. Fillippani-Ronconi, Storia del pensiero cinese, Bollati-Boringhieri, Torino 1992; M. Granet, Il pensiero cinese, Adelphi, Milano 1971; J. C. Cooper, Yin e Yang, Ubaldini, Roma 1982; I Ching, a cura di R. Wilhelm, Adelphi, Milano 1991. torna al testo ^

27- P.Berger, The Notitia, ecc.cit., p157. torna al testo ^

Giovanni Monastra

 

 

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Articolo inserito in data: domenica, 18 ottobre, 1998.

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