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Dall'Epistolario di A. K. Coomaraswamy

a cura di Giovanni Monastra

Nella sterminata produzione che dobbiamo a Coomaraswamy vanno annoverate anche numerosissime lettere indirizzate a personaggi di alto rango della cultura del Novecento, come Sorokin, Guénon, Yeats, Eliot, Huxley, Sarton e molti altri. Si tratta quasi sempre di missive ricchissime di dati, commenti, riflessioni, così da costituire piccoli saggi, essenziali e dal linguaggio fluido, sui più disparati argomenti culturali, dalla tolleranza religiosa al rapporto Oriente-Occidente, dalle riforme sociopolitiche al valore della "philosophia perennis", al proselitismo, ecc. Recentemente Alvin Moore e Rama P. Coomaraswamy hanno raccolto questo sterminato epistolario, di cui purtroppo sono andate perdute molte lettere, e ne hanno pubblicato una selezione ragionata, dal titolo Selected letters of A. K. Coomaraswamy, (Oxford Univ. Press, 1988), da cui abbiamo tradotto i seguenti brani.

Lettera a Madre A. C. Ducey (suora Orsolina) - 25 giugno l945

Cara Madre Ducey,

le riconosco un'intenzione molto gentile, sebbene non possa probabilmente essere d'accordo sull'argomento nella sua totalità. Tuttavia debbo dire che l'attribuire una qualche limitazione ad un'altra religione rispetto alla nostra deriva generalmente dalla ignoranza che ci contraddistingue circa quest'altra religione. Per esempio, nell'induismo Dio non è "infinito bene e infinito male", ma trascende queste (e tutte le altre) distinzioni. Tali distinzioni restano valide per noi... Egli è 1'autore del bene e del male nel senso che in ogni mondo creato ci devono essere tali contrari o non sarebbe un "mondo". Quando Egli fa nascere e morire, dà e toglie vita, fa cose che dal nostro punto di vista sono insieme bene e male; ma il Suo Valore non è né diminuito né aumentato dall'uno o dall'altro effetto. "Il Signore ha dato e il Signore ha preso, benedetto sia il nome del Signore". E' infatti molto arduo, se non impossibile, formulare qualche critica valida nei confronti di un'altra religione se non ne sono stati studiati i testi sacri e non e stata praticata la sua Via così a fondo come si può assumere che siano stati studiati quelli della propria e seguita la Via che le è tipica. Una posizione come quella che lei sostiene si appoggia solo su una convinzione a priori secondo cui ciò che lei conosce direttamente deve essere il corpo di verità superiore e unico per completezza. Se ciò sia cosi o meno, non è stato indagato da lei, poiché la sua convinzione le risulta sufficiente. Tutti i suoi atti positivi sono buoni; lei ha ragione nel credere "furiosamente" nella sua verità. Ma la situazione cambia quando lei giunge alle convinzioni negative: il suo convincimento a priori degli errori degli altri non prova nulla e lei non può che condurre la sua indagine se non basandosi solamente su fonti di seconda mano - che nel caso delle religioni orientali sono molto pericolose, poiché queste religioni venivano investigate all'inizio da coloro che coltivavano il proponimento di confutarle e successivamente quasi sempre da studiosi razionalisti ai quali esse apparivano una follia per lo stesso motivo per cui la Cristianità sembra una follia al cospetto del mondo moderno. L'ultima cosa che desidererei negare (proprio come lo vorrei per l'Induismo) è che la religione in cui lei crede costituisca un corpo di verità completo; ma io nego (allo stesso modo che per l'Induismo) che essa lo sia in qualsiasi senso esclusivo. Se voi non state con noi, almeno noi stiamo con voi. Per favore non preghi che io divenga Cristiano; preghi solo perché io possa conoscere Dio ogni giorno sempre meglio...

A. K. C.

Lettera a P. Sorokin - 9 gennaio 1947

Caro Sig. Sorokin,

Ogni tanto ripenso al problema posto da lei, e ritorno sempre a questo, che la sola via di salvezza passa attraverso la filosofia, che la filosofia "con la sua liberazione e purificazione non dovrebbe essere qualcosa a cui si fa resistenza" (Phaedo 82 D). Penso che tutte le guerre siano proiezioni della guerra che si svolge dentro di noi, il tragico conflitto tra "dovere " e "volere"; infatti questo risulta esplicito nella lettera di S. Giacomo. La prima cosa da desiderare è insegnare agli uomini ad essere "in pace con se stessi" (La contesa di Omero ed Esiodo, 320). Da questo punto di vista si potrebbe procedere per delineare la phaideia di ciascuno o il concetto di necessaria "coltivazione" interiore. Il problema diviene quello di come rigenerare la filosofia rendendola modello di vita. E strada facendo, pensavo che il nuovo libro di John Wild potrebbe essere abbastanza utile in questa direzione.

A. K. C.

Lettera a F. W. Buckler - data incerta

Caro Professor Buckler,

... Penso che la furia proselitistica implichi uno stato mentale che sarebbe vergognoso in chiunque. I Cristiani dovrebbero costruire una civiltà cristiana e farne la "loro" testimone. Lei si augurerebbe di poter cambiare una religione senza distruggere la relativa cultura. Poiché la nostra cultura è stata secolarizzata risulta naturale per noi pensare, adesso,, che una siffatta cosa sia possibile. Ma in un ordine sociale come quello che esiste in India lei non può separare la religione dalla cultura più di quanto lo si possa 1'anima dal corpo. Lì la separazione tra sacro e profano e difficile che esista. l'induismo penetra ogni cosa: si potrebbe dire che il linguaggio stesso risulta concepito per incarnare le idee religiose, e così non si potrebbe sostituire una nuova religione senza costituire un nuovo linguaggio (che potrebbe essere solo un inglese elementare o un inglese imbastardito). Lo stesso vale per tutta la musica e la letteratura e per ogni modo di vita. Il missionario ha perfettamente ragione, dal suo punto di vista, nell'opporsi e ignorare tutti gli elementi della cultura indiana- deve fare così se non vuole essere annientato dalla situazione circostante. Aggiungiamo a ciò che, naturalmente, gli è impossibile non appartenere alla sua specie e che perciò gli è impossibile non veicolare: tutte le infezioni della vita moderna In altre parole, il solo effetto su larga scala dell'attività missionaria in Asia non è di convertire ma di secolarizzare. Lei deve rassegnarsi all'alternativa: per convertire bisogna distruggere la cultura. Se non si distrugge la cultura, allora non si può convertire.

A. K. C.

 

a cura di Giovanni Monastra

 

 

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Testo inserito in data: sabato, 17 ottobre, 1998.

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