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La recezione internazionale di Rivolta

Commenti e analisi di R. Guénon, G. Benn, M. Eliade e A. Coomaraswamy sulla prima edizione (1934) della principale opera di Julius Evola

di Giovanni Monastra

da Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 1998

La principale opera evoliana scritta prima del secondo conflitto mondiale, Rivolta contro il mondo moderno, ebbe in Italia non più di dieci recensioni, tutte su pubblicazioni di modesta diffusione1. Questo impegnativo «studio di morfologia delle civiltà e di filosofia della storia», certo molto originale nel panorama culturale del nostro paese, «non fu quasi affatto notato»2 dalla cultura "ufficiale" del regime fascista e anche da quegli autori, come Croce, Spirito, Volpicelli, Aliotta, Sciacca, Thilgher, che in altre occasioni si sarebbero interessati al pensiero di Evola, attribuendogli, quanto meno, rigore intellettuale e vasta cultura.
Tra gli studiosi l'unica eccezione di rilievo fu solo quella di Filippo Burzio3, che riconobbe la «serietà di Evola» e la profondità delle argomentazioni contenute nella Rivolta. Questo silenzio quasi assoluto potrebbe essere usato strumentalmente per dimostrare lo scarso valore dell'opera, se alcuni lusinghieri riscontri al livello internazionale, di cui parleremo più avanti, non contraddicessero, già di per sé, tale giudizio liquidatorio. Ci sembra, quindi, più realistico ed esaustivo fornire altre spiegazioni, meno superficiali. Infatti l'ambiente intellettuale italiano era, negli Anni Trenta, ancor meno recettivo di quello del dopoguerra nei confronti del pensiero evoliano, della sua radicale proposta antimoderna, "tradizionale".

Né la cultura fascista, percorsa da fremiti vitalistici, futuristi, nazionalisti, idealistico-gentiliani, con alcuni, pesanti, e talora inconfessati, debiti verso l'ideologia giacobina e i miti della Rivoluzione Francese, né la cultura democratica antifascista, fortemente legata al pensiero illuminista e, più in generale, alla grande trasformazione ideologica operata nel Rinascimento, potevano apprezzare uno studioso che ridimensionava drasticamente il valore di Storia, Progresso, Scienza, Umanesimo, Modernità, Nazione. La sua cultura aristocratica, cultura della qualità e della forma, legata a grandi filoni dottrinari europei4, allora poco noti in Italia, risultava a tanti troppo impolitica, quasi incomprensibile: nel generale ottimismo dell'epoca, giustificato da uno storicismo trasversale alla dicotomia fascismo-antifascismo, la sua attenzione per il problema della decadenza, il suo interesse per il Sacro, la Trascendenza, l'Impero, la Gerarchia, da lui ritenuti realtà sovratemporali, patrimonio della Tradizione e non sottoposte, né sottoponibili, al giudizio degli individui o della Storia divinizzata, risultavano fuori dal dibattito filosofico, anacronistici.
Gli stessi critici dello storicismo si trovavano agli antipodi delle idee di universalità e impersonalità propugnate da Evola: si trattava di "relativisti" che declinavano i paradigmi della "modernità" in forme diverse, ma pur sempre qualitativamente omogenee, nei loro tratti di base, con quelle dei loro avversari. Anche i cattolici, i meno lontani, apparentemente, dalla concezione spirituale dell'autore di Rivolta, ne rifiutavano la visione "ecumenica" in campo metafisico-religioso e non avevano dimenticato i pesanti rilievi critici nei confronti del cristianesimo da lui più volte espressi appena sei-sette anni prima5. In definitiva Evola in quanto studioso della Tradizione e pensatore-analista della crisi della modernità, era necessariamente un escluso: così voleva il cosiddetto "spirito del tempo".

A fronte di tale situazione, colpisce il diverso impatto che il suo nome e le idee da lui difese ebbero fuori dal nostro paese in ambienti culturali di rilievo, suscitando crescente interesse, fenomeno che culminò con la pubblicazione, dopo l'edizione italiana del 1934, della traduzione tedesca, l'anno dopo, di Rivolta contro il mondo moderno6. Pochi tra i suoi critici ricordano, o sanno, che Evola intrattenne a lungo rapporti con autori quali Schmitt, Eliade, Junger, Spann, Heinrich, Woodroffe, Altheim e molti altri, alcuni dei quali egli fece conoscere in Italia, contribuendo a sprovincializzarne la cultura.
Da questi e da numerosi altri, in varie occasioni, ricevette attestati di stima sul piano del valore intellettuale, valore recentemente riconfermato dall'inclusione del pensiero di Evola in una corposa opera di alto livello accademico, dedicata alle varie correnti filosofiche7. Ma le recensioni di Rivolta apparse all'estero sono forse ancor meno note8 e fanno giustizia già da sole di tanti giudizi affrettati e partigiani circa la presunta inconsistenza culturale delle posizioni evoliane. Verrebbe, piuttosto, da denunziare la miopia di molti "intellettuali" italiani, intolleranti verso la diversità radicale, percepita, forse, più come un potenziale disturbo o pericolo per le idee "ufficiali", consolidate e rassicuranti, nel cui alveo si vuole continuare a muoversi, che come un utile termine di confronto e verifica del proprio bagaglio di valori e convinzioni.
Quanto a sensibilità in questo campo, ad esempio, il mondo francese degli Anni Trenta si dimostrò assai più aperto e dinamico del nostro, dando spazio nel dibattito a tutte le posizioni emerse al suo interno: si pensi alla attenzione che il principale testimone ed esegeta del pensiero "tradizionale" nel Novecento, René Guénon, per certi aspetti molto più radicale di Evola nella sua condanna del mondo moderno, riscosse anche tra intellettuali lontanissimi dalla sua impostazione dottrinaria, da Gide a Drieu La Rochelle arrivando a influenzare addirittura il pensiero di alcuni medici-filosofi transalpini9.

Volendo introdurre le quattro più importanti recensioni che furono scritte per Rivolta riteniamo opportuno in primo luogo inquadrarne gli autori, René Guénon (1886-1951), Gottfried Benn (1888-1956), Mircea Eliade (1907-1986) e Ananda Coomaraswamy (1877-1947), nei loro rapporti con Evola. Molte notizie sui contatti intercorsi sono rinvenibili ne Il Cammino del Cinabro10, il testo che descrive l'itinerario intellettuale dello studioso italiano, ma va osservato che Evola, in questo libro, dimostra una riservatezza non comune, evitando di enfatizzare l'importanza delle sue conoscenze internazionali, arrivando talvolta a trascurare certi fatti lusinghieri. In alcuni casi sembra aver dimenticato o addirittura ignorare i giudizi positivi espressi sulla sua attività culturale e, in particolare, su Rivolta.

René Guénon

Lo studioso italiano iniziò il suo lungo rapporto epistolare con Guénon, alla fine degli Anni Venti, su suggerimento di Arturo Reghini11, il teorico più insigne della riattualizzazione della spiritualità romana e italica (pitagorica, in particolare) in polemica con il cristianesimo, da lui considerato un culto «esotico», estraneo alla nostra cultura ancestrale.
Nella lunga attività di attento osservatore dei fermenti antimoderni, Guénon s'interessò spesso alla produzione intellettuale di Evola12. La "breve", ma densa recensione che dedicò a Rivolta contro il mondo moderno13 ci sembra significativa. L'estensore dimostra di condividere in pieno la struttura teorica che ne sta alla base, tanto che ne riconosce «il merito e l'interesse» e la segnala «in modo particolare all'attenzione di tutti coloro che si preoccupano della crisi del mondo moderno». Il dissenso, semmai, verte sulla interpretazione di singoli fenomeni. Le poche riserve espresse concernono il differente giudizio formulato dai due autori su aspetti della realtà tradizionale, quali i rapporti tra sacerdozio e regalità, le valenze spirituali del pitagorismo, il vero volto del buddhismo primitivo, mentre ci sembra molto marginale l'osservazione guenoniana sull'uso discutibile del termine "Sud" che in Rivolta indica una certa tradizione opposta a quella del "Nord".
Ci limiteremo, quindi, a commentare le tre critiche principali. È noto che esisteva pieno accordo tra Guénon ed Evola circa il ruolo preminente posseduto dalla autorità spirituale, ai cui valori deve sottostare il potere temporale (gestione delle funzioni militari, politico-amministrative, giuridiche). I due aspetti sono distinti, ma non separati. Nello stato originario delle comunità umane essi coincidevano nella stessa figura, il Re-Sacerdote. Poi avvenne la scissione, in epoche differenti da paese a paese, dando luogo, come in India, alla casta sacerdotale e a quella guerriera (da cui provenivano i re): la prima divenne depositaria formale della autorità spirituale, la seconda, almeno di norma, del solo potere temporale. Qui nasce il dissidio tra Evola e Guénon. Quest'ultimo (analogamente a Coomaraswamy, come vedremo più avanti) critica lo studioso italiano che tendeva a invertire il rapporto tra i due gradi gerarchici, riconoscendo, in certi contesti, una superiorità della spiritualità regale, virile e solare, rispetto a quella sacerdotale, meno autocentrata. Evola asseriva che il re e il sacerdote, derivando dalla scissione di un'unica figura originaria, mantenevano, ambedue, un collegamento diretto con la sfera del Sacro, l'uno attraverso l'Azione, l'altro attraverso la Contemplazione: scriveva, infatti, che, come attestato dalla Bhagavad-gita, «l'azione si fa [...] via verso il cielo e verso la liberazione»14, avendo di per sé una dimensione metafisica nel contesto delle realtà tradizionali e gerarchiche. Col sottolineare la maggiore predisposizione degli occidentali per la sfera dell'azione, Evola cercava di riportare in luce una metafisica dell'azione che costituisse una via autonoma, ortodossa, verso la trascendenza, praticabile anche in contesti non-orientali. Per altro non si può negare, a parte gli stessi esempi riportati da Evola in Rivolta, che nelle più antiche Upanishad, la Brhad-aranyaka e la Chandogya 15, sono descritti dialoghi in cui un saggio di casta guerriera ammaestra dei brahmani nel campo delle scienze sapienziali di più alto rango (ad esempio, la dottrina dell'atman). Forse ciò potrebbe riflettere una situazione ancora fluida, specchio di una scissione paritaria del primordiale polo regale-sacerdotale e, quindi, dei saperi e dei poteri ad esso inerenti.
In definitiva, la discordia tra Evola e Guénon (ma anche Coomaraswamy) verte solamente sulle possibilità, proprie alla casta regale-guerriera nel kali-yuga, di reintegrazione diretta, non mediata, nella dimensione del Sacro, con la conseguente capacità di assolvere a un ruolo pontificale, ponendo il mondo sacerdotale in posizione spiritualmente subordinata.

Un altro punto di divergenza riguarda il pitagorismo. Infatti Guénon lo considerava «una restaurazione in forma nuova del precedente orfismo»16, dottrina sapienziale ritenuta in ordine sotto il profilo tradizionale, mentre a Evola appariva come un fenomeno spirituale dalla valenze sospette. Guénon riscontrava nel pitagorismo «legami evidenti col culto delfico dell'Apollo iperboreo», tanto da considerarlo «una filiazione continua e regolare di una delle più antiche tradizioni dell'umanità»17, il "riadattamento" di precedenti espressioni tradizionali in un'epoca di crisi spirituale, il VI secolo a.C.18. La tematica è assai complessa e richiederebbe un approfondimento molto ampio, che in questa sede non è possibile. Ci limitiamo a osservare che, data l'indubbia presenza delle componenti dottrinarie «apollinee» di cui parla Guénon, a nostro parere è stato quest'ultimo ad aver individuato il vero nucleo del pitagorismo, senza lasciarsi fuorviare da elementi spuri, come forse avvenne nel caso di Evola, convinto delle pericolose ambiguità presenti in questa dottrina sapienziale, dovute, a suo parere, alle influenze negative di certe forme dell'orfismo.

Per quel che riguarda, infine, la via di realizzazione spirituale enunciata dal principe Siddharta, vediamo riemergere l'antica avversione di Guénon per il Buddhismo, ritenuto antimetafisico, quindi antitradizionale. Sappiamo che tale interpretazione venne da lui in parte riveduta e corretta, negli anni trenta, dopo aver conosciuto gli studi di Ananda Coomaraswamy (e Marco Pallis) sul Buddhismo delle origini19, ma, nel caso della presente recensione, egli tiene a sottolineare che «l'elogio» evoliano della dottrina buddhista «dal punto di vista tradizionale, non si comprende assolutamente». In questo caso è stato proprio Evola ad avere individuato in modo autonomo, e meglio di Guénon, i caratteri "veri" del Buddhismo, senza cadere nell'errore di confondere la dottrina originaria con certe degenerazioni successive, contro cui unicamente si scagliò un Maestro come Shankaracharya. A tale proposito sarà opportuno, pure, ricordare il ruolo non del tutto marginale rivestito da Evola nella corretta diffusione delle dottrina buddhista in Occidente, a fronte di numerose mistificazioni e fraintendimenti di vario genere, spesso dovuti al fatto che gli stessi orientalisti europei, consciamente o inconsciamente, hanno finito col costruire un "Buddhismo" fantasioso, frutto delle propria visione umanistica e sentimentale del mondo dello spirito. E questo potrebbe valere anche per altre dottrine sapienziali, dal Taoismo all'Ermetismo, riguardo alle quali in Rivolta troviamo sintetici, ma puntuali riferimenti, sviluppati poi dall'Autore nei testi dedicati specificamente a tali dottrine.
Tornando al ruolo svolto dal tradizionalista italiano nella recezione del Buddhismo all'interno della nostra area culturale, e con particolare riferimento alla sua opera La dottrina del risveglio20, vogliamo segnalare alcune interessanti informazioni aggiuntive, presentate di recente (1994) ad opera di un esperto in questo settore, lo studioso scozzese Stephen Batchelor21. Questi ha analizzato il fenomeno della adesione di numerosi occidentali al Buddhismo, spesso accompagnata da una emigrazione non solo spirituale in Oriente. In particolare ci informa che nell'isola di Ceylon il 24 aprile 1949 vennero ordinati novizi due inglesi, uno dei quali noto a chi conosce l'opera del tradizionalista italiano. Si tratta di «Osbert Moore e Harold Musson, due ex ufficiali dell'esercito il cui interesse per il Buddhismo si era sviluppato in Italia durante la guerra, leggendo La dottrina del risveglio dello studioso di esoterismo Julius Evola»22. E proprio al Musson dobbiamo l'eccellente versione inglese di questo testo evoliano23, che, come scrisse nella prefazione (aprile 1948), «riprende lo spirito del Buddhismo nella sua forma originale» con un «approccio libero da compromessi». Significativamente il traduttore aggiungeva che il «reale significato di questo libro, tuttavia, risiede [...] nel suo incoraggiamento ad applicare nella pratica la dottrina presentata»24, un diretto riferimento al proprio itinerario spirituale, un anno prima dell'inizio del noviziato a Ceylon.

Continua Batchelor: «Moore e Musson presero rispettivamente il nome di Nanamoli e Nanavira, e l'anno successivo ricevettero la piena ordinazione a bhikkhu a Colombo. Entrambi divennero dotti studiosi di pali. [...] Nanavira [Musson] si ritirò in un remoto eremo in una foresta vicino Matara nel sud dell'isola. Non potendo dedicarsi alla pratica meditativa intensa a causa di una malattia cronica, Nanavira si concentrò sulla comprensione del Dharma, così come era presentato dal Buddha nel Canone pali»25. Morì nel 1965. Nel 1987 i sui scritti furono raccolti nel volume Clearing the Path. Evola sapeva che il Musson, da lui erroneamente citato come Mutton ne Il cammino del cinabro26, si era ritirato in Oriente, anche in seguito alla lettura del suo libro sul Buddhismo, alla ricerca di qualche centro spirituale in cui si coltivavano ancora le discipline ascetiche, ma si doleva del fatto di non aver saputo più nulla di lui. Nanavira aveva tagliato tutti i ponti con l'Occidente.

Gottfried Benn

L'incontro con il poeta e medico tedesco Gottfried Benn27, esponente della Rivoluzione Conservatrice28, risale al 1934, anno del primo viaggio di Evola in Germania29, dove tenne una conferenza in una università di Berlino, un discorso al prestigioso Herrenklub della stessa città e un'altra conferenza a Brema, in un convegno internazionale di studi nordici. Negli ambienti aristocratico-conservatori trovò il suo "ambiente naturale". Recensendo, in chiave assai positiva, Rivolta contro il mondo moderno30, «libro esclusivista e aristocratico», lo scrittore tedesco individua un duplice merito. L'opera, di «importanza eccezionale», amplia nel lettore «gli orizzonti di quasi tutti i problemi europei secondo nuove direzioni finora ignorate o rimaste nascoste, per cui leggendolo si vedrà in modo diverso l'Europa» e inoltre combatte efficacemente ogni "filosofia della storia", quella forma di pensiero da tempo egemone proprio in Germania, di cui solo Goethe e Nietzsche furono immuni. Benn mette in luce con particolare vigore lo sforzo evoliano teso a denunciare ciò che ha caratterizzato la vicenda umana successiva al distacco dalla essenzialità e dal rigore del mondo primordiale, cioè l'abbandono del Centro metafisico e la spinta verso la periferia realizzati con l'alibi della "storia".
Contro lo sfrenato orizzontalismo della moderna concezione del mondo e della vita, concezione riduttiva, a una dimensione, Benn accoglie e fa sua in pieno la dottrina verticale delle "due nature", essere e divenire, tipica di ogni società tradizionale, formalizzata da Evola nel suo affresco metastorico.

Chi conosce il Benn nichilista, ateo, attratto talora dagli aspetti più mostruosi e deformi della realtà, al limite della necrofilia31, potrà rimanere sconcertato da questa adesione piena e completa alla visione "tradizionale" del mondo, dove Divino e Trascendenza costituiscono gli aspetti ontologici, fondanti il tutto. Ma non bisogna dimenticare, da una parte, il rifiuto della storia, dell'utilitarismo, della scienza quantitativa, del meccanicismo, in lui già presenti da tempo, in parte per l'influenza di Nietzsche, dall'altra quello che Ferruccio Masini ha definito il «trapasso, maturato agli inizi degli Anni Trenta, dal Benn 'dionisiaco' [...] al Benn 'apollineo' del konstruktiver Geist (spirito costruttivo)»32 come esito del suo processo interiore, vissuto, di "superamento del nichilismo". Avvenne un approfondimento trasfigurante che portò alla inversione di segno di molti aspetti propri all'universo benniano: attraversati gli inferi si protendeva verso l'Olimpo. Cosicchè negli scritti teorici e nelle poesie si comincia a scorgere al posto dell'esaltazione degli elementi infrarazionali, mostruosi e ctonii, una sempre più chiara percezione di un luminoso ordine metafisico, non-teistico, dove forma e stile costituiscono gli elementi centrali, strutturanti, in un contesto di forti suggestioni eckhartiane, se non addirittura taoiste (vedi la tematica del saggio distaccato dal mondo).
Il suo studio su Goethe e le scienze naturali33, del 1930, costituisce un esempio significativo di questo nuovo interesse per la morfologia trascendentale, il pensiero tipologico-archetipico, la visone olistica della realtà. Sono tutti aspetti propri al pensiero goethiano, ma che Benn fa suoi, riconoscendo la Natura nella sua vera essenza, dopo le mistificazioni positiviste: realtà dinamica fatta di immanenza in cui diviene attiva e operante la trascendenza34. Tutto viene trasfigurato e la stessa esistenza, lungi dall'essere solo una somma di orrori e deformità malate, aspira a qualcosa che la trascenda. «Ogni vita vuole più che la vita»35, esige armonia, stile, misura in senso qualitativo. È l'archetipo dorico che ritorna, con sua essenzialità, tra l'acciaio e le alte temperature dell'interregno dello spirito. «L'epoca di cui parla Benn, chiamandola orestea, non è propriamente un'epoca storica, bensì un trascendimento del tempo per effetto del quale il mondo diventa una costruzione spirituale, un'appercezione trascendentale»36.

Come si può vedere, quindi, esistevano già diverse premesse positive per la piena accettazione da parte di Benn delle idee esposte da Evola. Possiamo ragionevolmente pensare, piuttosto, che la lettura di Rivolta contro il mondo moderno abbia contribuito a rafforzare questo processo di chiarificazione e riorientamento verso l'Alto in corso nell'animo del poeta tedesco durante gli Anni Trenta.
D'altra parte non si trattò di un interesse momentaneo e superficiale: infatti leggendo la prosa di Benn troviamo altri espliciti riferimenti positivi al pensiero di Evola. Così egli riconosce il suo debito nei confronti di Rivolta, alle cui idee si era ispirato scrivendo un saggio in onore del poeta Stefan George37, o richiama "la sintesi ghibellina" propugnata da Evola, quando dice che «le aquile di Odino volano incontro alle aquile della legione romana»38, efficace metafora della sintesi del germanesimo e della romanità, due aspetti complementari del mondo indoeuropeo nella visione dello studioso italiano.

Mircea Eliade

Ancor più vicino di Benn agli interessi evoliani fu certo il famoso storico delle religioni romeno Mircea Eliade39, anche se egli non aderì mai in pieno alla concezione del mondo "tradizionale", a differenza di Guénon e Coomaraswamy. Infatti ebbe a scrivere di Evola: «Ne ammiravo l'intelligenza e, soprattutto, la densità e la chiarezza della prosa. Proprio come René Guénon, Evola presupponeva una tradizione primordiale alla cui esistenza io non potevo credere, giudicandola di carattere fittizio, non storico»40.
Il rapporto Evola-Eliade iniziò prima della partenza di quest'ultimo per l'India, dove si trattenne dal 1928 al 1931. La loro corrispondenza epistolare sarebbe durata per molti anni41, anche se in seguito avvenne un parziale distacco, almeno su certi temi. Già da studente Eliade42 aveva letto alcuni libri di Evola e nel 1927 era stato colpito da un articolo evoliano, apparso su Bilychnis, rivista da lui ben conosciuta. Si tratta de Il valore dell'occultismo nella cultura contemporanea43, che commentò sulle pagine del quotidiano "Cuvântul"44, dimostrando così in modo ufficiale il suo interesse per le tematiche trattate dallo studioso italiano, interesse che fino agli Anni Quaranta fu molto più vivo che successivamente, quando, o per convinzione, o per strategia di sopravvivenza, modificò alcune posizioni e nascose certi riferimenti dottrinari precedenti45. La loro conoscenza personale risale al 1938, in occasione di un viaggio di Evola a Bucarest, dove il filosofo Nae Ionesco, maestro di Eliade, propiziò l'incontro46.

Nonostante la generale correttezza della recensione di Rivolta contro il mondo moderno, «spiegazione del mondo e della storia di una affascinante grandezza», condotta con rigore da "filosofo"47, non si può fare a meno di notare come sia inesatto affermare che «Evola si situa sulla linea culturale di Gobineau, Chamberlain, Spengler, Rosenberg», dato che la sua morfologia della storia risulta abissalmente lontana dalla visione irrazionalista e vitalista, se non addirittura positivista e biologista, che caratterizza gli scritti degli autori ora citati. D'altra parte Eliade mette in luce molto chiaramente che Evola aderisce a una visione "tradizionale" della vita, dove il fine vero è costituito dall'integrazione in una dimensione che trascende la semplice "vita", cioè nella dimensione del Sacro che permea tutta la realtà. Per cui la genealogia di cui sopra appare ancor più fuori luogo, anche se è forse caratteristica di certa incostanza e incongruenza nei passaggi logici che talvolta emergono nell'opera eliadiana.

Ananda K. Coomaraswamy

Mentre i rapporti tra Evola e i precedenti recensori sono abbastanza documentati, quelli tra lo studioso italiano e il dottrinario tradizionalista angloindiano Ananda Kentish Coomaraswamy48 sono di difficile ricostruzione. Ne Il Cammino del Cinabro Julius Evola non fa alcun riferimento a Coomaraswamy, autore che, tra l'altro, non cita quasi mai nei suoi scritti, pur essendo un rigoroso esponente del pensiero tradizionale. Eppure, leggendo regolarmente Etudes Traditionnelles, dove apparvero numerose traduzioni di testi di Coomaraswamy, Evola doveva conoscerne abbastanza bene il pensiero. Rimane incomprensibile tale silenzio su di lui, anche in considerazione di quanto diremo più avanti.
Sull'altro versante, in prima istanza, possiamo fare riferimento alla biografia, attenta e documentata, dedicata da Roger Lipsey alla vita del grande esegeta dell'arte tradizionale, Coomaraswamy: His life and work49: questo libro, nonostante informi il lettore sulle più marginali conoscenze, anche solo culturali, dello studioso angloindiano, ignora qualsiasi rapporto con Evola. Tale mancanza assoluta di contatti sarebbe stata molto strana, in quanto ambedue avevano in comune alcune conoscenze, come René Guénon o sir John Woodroffe (Arthur Avalon), che potevano fare da tramite, considerato che l'ambiente dei "tradizionalisti" era numericamente modesto e quindi risultava utile tenere una rete di relazioni fra tutti i componenti di tale area.
Di recente, una informazione dataci dal figlio di Ananda Coomaraswamy, il dottor Rama, un chirurgo affermato, ma anche un battagliero tradizionalista cattolico, ha colmato questa lacuna: abbiamo così saputo che, come era logico, Coomaraswamy ed Evola intrattennero una corrispondenza epistolare, oggi purtroppo perduta o introvabile. Inoltre Evola gli inviò negli Anni Trenta, oltre a Rivolta contro il mondo moderno, anche La Tradizione ermetica e Il mistero del Graal. Lo studioso angloindiano li lesse sicuramente con interesse, specie Rivolta, con le cui tesi di fondo talora polemizza, talora concorda. Esempi si trovano in What is civilization?50, Autoritè spirituelle et pouvoir temporel dans la prospective indienne du gouvernement51, Il Grande Brivido52, mentre nel suo epistolario, Selected letters of A.K. Coomaraswamy , invita un amico, Martin D'Arcy, sacerdote cattolico, futuro capo dei Gesuiti d'Inghilterra, a leggere Rivolta contro il mondo moderno53 e segnala un giudizio di Evola, in una lettera del 1941 al giornale londinese New English Weekly54.

Infine, nella rivista fondata e diretta dal noto poeta indiano Rabindranath Tagore, The Visva-Bharati Quarterly, Coomaraswamy fece pubblicare, nel 1940, la traduzione, eseguita dalla moglie Luisa Runstein, nota anche con lo pseudonimo di Zlata (o Xlata) Llamas, di un capitolo di Rivolta, intitolato Uomo e Donna, traduzione che costituisce il primo scritto evoliano presentato nell'area culturale anglofona55. Coomaraswamy aggiunse alcune note esplicative al testo56 e stese anche una breve presentazione, che rappresenta il suo unico commento organico -e lusinghiero- dell'opera di Evola, avanzando solo due obiezioni. Egli critica lo studioso italiano per aver sottolineato, inopportunamente, la appartenenza di Freud al popolo ebraico e per aver sopravalutato il ruolo della funzione regale rispetto a quella sacerdotale, invertendo anche, al fine di supportare la sua tesi, il significato di un passo del testo indù Aitareya brahmana. Ma ciò non gli impedisce di presentare Rivolta come un libro fondamentale ed essenziale, adatto sia per lo studente di antropologia che per l'indologo.
La seconda critica è complementare a quella analoga avanzata da Guénon e, quindi, va inquadrata nel contesto, già prima delineato, dei rapporti tra la casta sacerdotale e quella guerriera. Naturalmente le argomentazioni di Coomaraswamy concernenti la traduzione sono indiscutibili, data la sua autorità e la perfetta conoscenza della lingua in cui sono scritti i testi sacri indù, per cui costituiscono una utilissima puntualizzazione. La nota della direzione della rivista, riportata in appendice allo scritto di Coomaraswamy, rispecchia il pensiero di Tagore sul "tradizionalismo" come concezione del mondo, dimostrando le notevoli differenze esistenti tra le idee del poeta indiano, compartecipi di molti aspetti della modernità, e quelle di Evola (e di Coomaraswamy, legato a Tagore solo da una antica amicizia).

Può sembrare strano che Evola non abbia mai citato questa traduzione in inglese, già di per sé significativa, né lo scritto elogiativo prepostovi, quando riporta i giudizi espressi da uomini di cultura su quello che considerava il suo testo fondamentale (per altro, analoga omissione avvenne con la recensione scritta da Eliade). Ricordiamo che dopo il conflitto Evola non poté riprendere i contatti con Coomaraswamy, giacché quest'ultimo morì nel 1947, quando lo studioso italiano era ancora isolato in una clinica austriaca, paralizzato agli arti inferiori in seguito al bombardamento di cui era rimasto vittima a Vienna.
Di recente Renato del Ponte ha pubblicato undici lettere scritte da Guénon a Evola tra il 1930 e il 195057, fornendo alcune utili informazioni, prima ignote. Nella lettera inviata il 28 febbraio 1948 lo studioso francese scrive: «Credo che conosciate senz'altro le opere di Coomaraswamy, in tutto o almeno in parte; penso che abbiate saputo che sua moglie aveva tradotto qualcosa di vostro (credo di ricordarmi che fosse un capitolo della Rivolta contro il mondo moderno), che è uscito un poco prima della guerra nella "Vishva Bharati Quarterly"»58. Quindi Evola venne a conoscenza, quanto meno tramite Guénon, di questa traduzione inglese, con un riferimento per altro molto vago alla rivista, senza data precisa, né luogo di edizione, ma, salvo informazioni ricevute da altri e ancora non documentate, probabilmente ignorò sempre che Coomaraswamy aveva commentato positivamente il libro. Certo qualcuno (forse lo stesso Guénon a cui Evola si era rivolto nel 1949 per alcuni consigli sulle modifiche da apportare a Rivolta in vista di una ripubblicazione) dovette avanzare le stesse critiche di Coomaraswamy circa l'erronea citazione del testo indù Aitareya brahmana, citazione che scomparve nelle successive rielaborazioni del volume: infatti, già nella seconda edizione di Rivolta59, non si trova più traccia di quelle frasi, che riportiamo qui di seguito, al fine di rendere più comprensibile il rilievo avanzato da Coomaraswamy:

«Ma ancora un riferimento è pieno di significato, sempre per la stessa idea. In India, è spesso accaduto che la funzione propriamente sacerdotale fosse affidata ad una persona distinta dal re, ad un sacerdote alle dipendenze del re, che è il purohita. Il purohita -vien detto- protegge soprannaturalmente la vita e il dominio del suo sovrano: è come un possente fuoco divampante intorno a lui. Il re consacrato e unito al suo purohita -si aggiunge- consegue lo scopo supremo della vita, non muore di nuovo, è un trionfatore. Ora, per quanto il re debba venerare il purohita, pure questi -il sacerdote- sta di fronte al re come una femina di fronte al maschio. Il re, nello stabilirlo, pronuncia infatti la stessa formula tradizionale, che lo sposo usa quando si accinge a possedere la sua sposa: Io son quello, tu sei questo, questo sei tu, quello son io -io sono il cielo, tu la terra»60.

Di fatto è invece il sacerdote a pronunciare queste parole rivolgendosi al re.

Ma, al di là di alcuni punti criticabili, proprio dal complesso delle recensioni che presentiamo (specie da quelle di Guénon e Coomaraswamy) si evince che il grande affresco del mondo della Tradizione, tracciato da Evola, mantiene in pieno la sua dignità e la sua coerenza complessiva con l'ordine di Idee a cui esplicitamente si riferisce: Rivolta esprime un "punto di vista" legittimo proprio a un occidentale dall'anima premoderna, totalmente romana in senso spirituale. Per lui valgono le parole di Georges Vallin61, riferite ad un contesto più ampio -ossia le parziali differenze tra le varie dottrine sapienziali- ma certo analogo a quello che vede Evola e gli altri esegeti della Tradizione tutti vincolati, almeno sotto certi aspetti, a specifici ambiti storico-culturali. «Il radicamento della prospettiva metafisica in una tradizione spirituale determinata porta con sé una differenza nei modi della sua formulazione o della sua espressione dottrinale, preservandone, però, l'unità e l'identità profonda, cosicché ci permette di coglierla nei limiti di un'ottica particolare»62.

Nel testo di Evola troviamo una sintesi originale che riesce, in pieno, a rendere manifesta l'Unità trascendente nella molteplicità del mondo fenomenico: il molteplice e l'Uno, divenire ed essere, due realtà armonizzabili solo nella visione "tradizionale", come, tra gli altri, ha rilevato Agnes Arber63.

Si può, quindi, affermare che nell'opera evoliana l'inevitabile parzialità, inerente allo "specifico" proprio della dimensione di cui fa parte l'uomo, rispecchia mirabilmente la totalità.

 


Note

1- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Hoepli, Milano, 1934. Per alcune delle recensioni su questo libro vedasi la bibliografia di Scritti orientativi e critici sul pensiero e l'opera di Julius Evola contenuta in Omaggio a Julius Evola, a cura di G. de Turris, Volpe, Roma, 1973. Circa la risonanza di Rivolta in Italia, prima degli Anni Settanta, epoca dalla quale la congiura del silenzio, prima fascista, poi antifascista, sul suo pensiero cominciò progressivamente ad affievolirsi, non va dimenticata la lettura attenta e fondamentalmente positiva, con pochissime riserve, fattane dal grande avvocato penalista Francesco Carnelutti in occasione della seconda edizione (Bocca, 1951), contenuta in Tempo perso, Zuffi, Bologna, 1952, pp. 243-248. torna al testo ^

2- È quanto ammetteva lo stesso Evola nella sua autobiografia intellettuale, Il Cammino del Cinabro (Scheiwiller, Milano, 1963, p. 148). torna al testo ^

3- Recensione contenuta in: Uomini, paesi, Idee, Bompiani, Milano, 1937, ora ristampata in Omaggio a Julius Evola cit., pp. 71-75. torna al testo ^

4- cfr. C.Boutin, Politique et Tradition. Julius Evola dans le siècle (1898 - 1974), Kimé, Parigi, 1992 e P. Di Vona, Evola, Guénon, De Giorgio, Sear, Borzano, 1993. torna al testo ^

5- Ci riferiamo agli articoli evoliani apparsi in riviste quali, ad esempio, Critica Fascista (V, 15 dicembre 1927) e Vita Nova (III, novembre 1927) e al testo Imperialismo Pagano (Atanor, Todi-Roma, 1928), in cui le idee anticristiane espresse nei suddetti articoli e in altri analoghi venivano presentate in forma più completa e organica. Circa le polemiche con il mondo cattolico italiano, innestate già dai primi interventi evoliani, vedasi l'Appendice a Imperialismo Pagano. Reazioni durissime ci furono anche all'estero: cfr. i due articoli Un sataniste italien e Le "fasciste" Evola et la mission trascendentale de l'Eglise, ambedue scritti da Monsignor Jouin in Revue Internationale des Sociétés Secrètes, rispettivamente XVII, 4, 1928 e XVIII, 2, 1929. torna al testo ^

6- Erhebung wider die moderne Welt, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart, 1935. torna al testo ^

7- cfr. AA. VV., La Filosofia, a cura di P. Rossi (4 voll.), UTET, Torino, 1995. Nel quarto volume, dedicato alle correnti filosofiche moderne, accanto ad argomenti come Marxismo, Fenomenologia, Idealismo, si trova anche il Tradizionalismo, curato da Michela Nacci, già da tempo studiosa dei pensatori della crisi: naturalmente si potrà osservare che il tradizionalismo esoterico non è assimilabile alle varie filosofie profane, di impronta individualista, ma, al di là di questo problema, rimane l'evento nuovo che va evidenziato. Infatti, per la prima volta, una équipe accademica riconosce spessore dottrinario e dignità intellettuale a un gruppo di autori, tra cui Evola, di cui viene analizzata in particolare proprio Rivolta contro il mondo moderno.
La Nacci, pur considerando lo studioso italiano molto meno "originale" di Guénon, si astiene dal demonizzarlo sotto qualsiasi profilo, di fatto dimostrando come il vieto luogo comune del "barone nero", razzista e teorico dei terroristi di estrema destra, sia stato un misero espediente strumentale per occultare il valore intellettuale di Evola screditandone la persona (cfr. G. de Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, Mediterranee, Roma 1997). torna al testo ^

8- Va osservato che anche i commentatori più recenti di Evola citano solo le recensioni di Benn e Guénon (è il caso di Marco Fraquelli, Il filosofo proibito, Terziaria, Milano, 1994, pp. 140-2), dimostrando così scarsa informazione sull'argomento, dato che i due interventi di Eliade e Coomaraswamy, qui riportati insieme agli altri più noti, erano stati già pubblicati a cura del sottoscritto sulla rivista "Diorama letterario" di Firenze, rispettivamente nei fascicoli 120 del novembre 1988 e 145 del febbraio 1991, e quindi risultavano disponibili per chi avesse voluto documentarsi seriamente. torna al testo ^

9- Vedasi, ad esempio, il contributo del dottor Pierre Winter, medico ospedaliero di Parigi, dal titolo Cosa dovrebbe essere una medicina tradizionale in AA. VV., Medicina ufficiale e medicine eretiche, a cura di A. Carrel, Bompiani, Milano, 1950, pp. 365-411. Sulla stessa linea di pensiero, "guenoniana", troviamo anche il più famoso agopunturista francese, il dottor Jacques André Lavier (cfr. Medicina cinese medicina totale, SugarCo, Milano, 1974 e L'agopuntura cinese, Ed. Mediterranee, Roma, 1995). torna al testo ^

10- J. Evola, Il cammino del cinabro cit., pp. 73, 81, 150-152, per i riferimenti principali. torna al testo ^

11- Su Arturo Reghini (1878-1946) e l'ambiente nel quale operò segnaliamo: R. Del Ponte, Il Movimento Tradizionalsta Romano, SeaR, Scandiano, 1987, e M. Rossi, L'interventismo politico-culturale delle riviste tradizionaliste negli Anni Venti: Atanor (1924) e Ignis (1925) in Storia Contemporanea, XVIII, 3, 1987, mentre per una conoscenza diretta dei suoi scritti può essere introduttivo: A. Reghini, Paganesimo, Pitagorismo, Massoneria, Mantinea, Furnari, 1986. torna al testo ^

12- A parte quella su Rivolta contro il mondo moderno, segnaliamo altre recensioni di Guénon scritte per libri di Evola: La Tradizione ermetica ("Le Voile d'Isis", aprile 1931 -trad. it. in Forme tradizionali e cicli cosmici, Ed.Mediterranee, Roma, 1973), Il Mistero del Graal e Il Mito del Sangue (ambedue in Etudes Traditionnelles, aprile 1937 -trad. it. e commento di A. Grossato in "Futuro Presente", 6, 1995). torna al testo ^

13- Apparsa in "Le Voile d'Isis", maggio 1934. torna al testo ^

14- Vedi il saggio Autorità spirituale e potere temporale, in AA. VV., Introduzione alla Magia, Ed. Mediterranee, Roma, 1971, vol. III, p.357. torna al testo ^

15- Brhad-aranyaka-upanishad, II lettura (in particolare: I, 14-15) e Chandogya-upanishad, VII e VIII lettura. torna al testo ^

16- R. Guénon, La crisi del Mondo Moderno, Ed. dell'Ascia, Roma, 1953, p.31. torna al testo ^

17- R. Guénon, La crisi del Mondo Moderno cit., p.31. torna al testo ^

18- R. Guénon, Forme tradizionali e Cicli cosmici, cit., p.61. torna al testo ^

19- R. Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Ed. Studi Tradizionali, Torino, 1965, p.167, nota. 1, e P. Chacornac, La vie simple de René Guénon, Les Editions Traditionnelles, Parigi, 1958, p.112. Sull'argomento sono molto interessanti le notizie fornite da Marco Pallis nel suo articolo A Fateful Meeting of Minds: A. K. Coomaraswamy and R.Guénon, in Studies in comparative religion, XII, 3-4, 1978. Pallis, profondo conoscitore del buddhismo, avendo deciso con Richard Nicholson, nel 1939, di tradurre in inglese Introduzione generale allo studio delle dottrine indù e L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, riuscì, con l'aiuto di Coomaraswamy, a ottenere che i capitoli e i passaggi dove il buddhismo veniva giudicato antitradizionale venissero modificati da Guénon per la traduzione inglese. Di Pallis vedasi anche René Guénon et le Bouddhisme, in Etudes Traditionnelles, luglio-novembre 1951. torna al testo ^

20- J. Evola, La dottrina del risveglio, Mediterranee, Roma, 1995. torna al testo ^

21- S. Batchelor, Il risveglio dell'occidente, Ubaldini, Roma, 1995. torna al testo ^

22- Ivi, pp. 264-5. torna al testo ^

23- J. Evola, The doctrine of awakening, Luzac and Co., Londra, 1951. torna al testo ^

24- Ivi, p. IX torna al testo ^

25- S. Batchelor, Il risveglio dell'occidente cit, p. 265. Dello stesso Autore vedansi anche i tre articoli su Evola e Musson-Nanavira tradotti nel mensile dei buddhisti italiani, "Paramita" (63 e 64, 1997, e 65, 1998). Secondo Batchelor esistono molti punti in comune nella concezione del buddhismo e della vita tra lo studioso italiano e il suo traduttore inglese. torna al testo ^

26- J. Evola, Il cammino del cinabro cit., p.158. torna al testo ^

27- Sulla vita e le opere di G. Benn vedasi l'eccellente saggio di A. de Benoist, Presenza di Gottfried Benn, in Trasgressioni, V, 12, 1990. Evola e Benn avevano una corrispondenza epistolare già dal 1930 (de Benoist, p.84) torna al testo ^

28- Sulla Rivoluzione Conservatrice rimandiamo a: A. Romualdi, Correnti politiche e ideologiche della destra tedesca dal 1918 al 1932, Ed. de L'Italiano, Roma, 1981, e A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice, Akropolis, Napoli, 1990. torna al testo ^

29- J. Evola, Il cammino del cinabro cit., p.149. Da quel momento egli cominciò a tessere una fitta tela di rapporti con diversi personaggi di rilievo del mondo tedesco. Ancora non molto tempo fa Ernst Junger ricordava, in un'intervista a Gennaro Malgieri, i suoi incontri con Evola: «È stato un paio di volte a trovarmi in Germania e ho avuto con lui una lunga corrispondenza. Evola sosteneva l'importanza del mito e la sua supremazia sulla storia: questo è stato il dato più interessante della nostra affinità» ("Il Secolo d'Italia", 1 novembre 1986). Vedi anche: A. Gnoli e F. Volpi, I prossimi titani. Conversazioni con Ernst Junger, Adelphi, Milano 1997, p.103, dove però afferma di non aver mai incontrato di persona Evola. torna al testo ^

30- Sein und Werden, in Die Literatur, XXXVI, 1934-1935, ora nelle opere complete di Benn, pubblicate dalla Limes Verlag, Wiesbaden 1958-1961, tomo IV, p.251. Questo risulta essere «l'ultimo testo in prosa pubblicato sotto il Terzo Reich» da Benn, a cui il regime vietò di scrivere in quanto le sue idee erano ritenute incompatibili con l'ideologia nazionalsocialista (L. Richard, Nazismo e cultura, Garzanti, Milano, 1982, p. 280). Di recente si sono avute nuove rilevanti prove circa l'interesse di Benn per Rivolta contro il Mondo Moderno. Infatti lo studioso Francesco Tedeschi ha rinvenuto nello Schiller-Nationalmuseum Deutsches Literaturarchiv (Handaschriften Abteilung) tre lettere di Evola indirizzate a Benn, che sono state pubblicate e commentate da Gianfranco de Turris sul mensile "Percorsi" (anno II, Maggio 1998). Le prime due sono particolarmente interessanti e risalgono al 1934. In quella del 20 luglio il tradizionalista italiano chiedeva al suo corrispondente la cortesia di revisionare la versione tedesca di Rivolta, eseguita da un certo Bauer, a cui si deve anche la traduzione di Imperialismo Pagano, dato che lo riteneva la persona più qualificata in assoluto per un compito così importante. Infatti scriveva: «[...] per me è dalla massima importanza l'esposizione la più esatta possibile delle idee rappresentate nel mio libro», concludendo: «Mi prendo la libertà di rivolgermi a Lei, in virtù dell'assoluta competenza che a mio giudizio Ella possiede su questi argomenti, e della Sua grandissima conoscenza e intelligenza delle tradizioni cui io mi ricollego». Nella successiva lettera del 9 agosto Evola faceva riferimento alla risposta positiva di Benn, inviata il 27 luglio, e lo ringraziava caldamente per aver accettato di revisionare la traduzione di Rivolta. Non esistono ulteriori conferme che poi ciò avvenne, né Evola accenna a questo fatto nella lettera, la terza rinvenuta nell'archivio, da lui inviata a Benn nel 1955. Ma i dati a nostra disposizione ci inducono a pensarlo. Quindi possiamo essere quasi certi che il poeta tedesco abbia ulteriormente contribuito, anche attraverso un siffatto impegno "silenzioso", ma efficace e qualificato, al successo dell'opera evoliana in Germania. torna al testo ^

31- Vedasi la raccolta di poesie Morgue, Einaudi, Torino, 1971. torna al testo ^

32- F. Masini, Gottfried Benn e il mito del nichilismo, Marsilio, Padova, 1968, p.60. torna al testo ^

33- G. Benn, Lo smalto sul nulla, Adelphi, Milano, 1992, pp. 89-125. torna al testo ^

34- G. Benn, Lo smalto sul nulla cit., p.102. torna al testo ^

35- G. Benn, Lo smalto sul nulla cit., p.207. torna al testo ^

36- Così scrive Ferruccio Masini nella sua prefazione a G. Benn, Aprèslude, All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano, 1963, p.13. torna al testo ^

37- G. Benn, Discorso per Stefan George (1934), ora in Lo smalto sul nulla, cit., pp. 163-176. La seconda parte di questo scritto era già apparsa, col titolo Epoca che viene, epoca della forma, in traduzione italiana su "Diorama Filosofico", la pagina speciale del quotidiano "Regime Fascista" (2 maggio 1934), curata da Evola (ora in "Diorama Filosofico", a cura di M. Tarchi, Edizioni Europa, Roma, 1974, pp. 63-66). Da segnalare che il riferimento ad Alfred Rosenberg è scomparso nella edizione del dopoguerra ripresa dalla Adelphi (Diorama Filosofico cit., p.64 e Lo smalto sul nulla cit., p. 173) torna al testo ^

38- G. Benn, Lo smalto sul nulla cit., p.161. Benn fa riferimento al capitolo Il mito delle Due Aquile dell'edizione tedesca, riveduta e ampliata, di Imperialismo Pagano (Armanen-Verlag, Leipzig, 1933, ritradotto e pubblicato in italiano nel 1991 a cura del Centro Studi Tradizionali di Treviso). torna al testo ^

39- Mircea Eliade è un autore molto noto, ma alcuni aspetti delle sua vita e certi rapporti di tipo culturale e ideologico sono stati spesso volutamente occultati. Claudio Mutti, analizzando l'impegno politico di alcuni intellettuali romeni negli Anni Trenta, tra cui anche Emil Cioran, ha dimostrato inequivocabilmente che Eliade aderì alla Guardia di Ferro (cfr. Le penne dell'Arcangelo, con una lunga prefazione di P. Baillet sulla dottrina e l'azione del Movimento Legionario Romeno, Barbarossa, Milano, 1994). torna al testo ^

40- M. Eliade, Les Moissons du Solstice. Memoire II 1937-1960, Gallimard, Parigi, 1988, pp. 153-4 (trad. it. Jaca Book, Milano, 1995). torna al testo ^

41- M. Eliade, Fragments d'un journal. II 1970-1978, Gallimard, Parigi, 1981, p. 192. Il testo di alcune lettere di Evola a Eliade è contenuto in AA. VV., Mircea Eliade e l'Italia, a cura di M. Mincu e R. Scagno, Jaka Book. Milano, 1986. Sui rapporti Evola-Eliade vedasi anche il saggio di G. de Turris, L'"Iniziato" e il Professore, in AA. VV., Delle rovine ed oltre, Pellicani, Roma, 1995, e quello di P. Baillet, Julius Evola et Mircea Eliade (1927 - 1974): une amitie manquee, in "Les Deux Etendards", I, 1,1988.
Va ricordato che Eliade dimostrò stima per Evola in modo palese anche nel dopoguerra, dato che ne citò alcuni testi, come La dottrina del risveglio o La Tradizione Ermetica, riconoscendo sempre la validità delle ricerche evoliane nel campo delle dottrine sapienziali. torna al testo ^

42- M. Eliade, Les Moissons du Solstice..., cit., p.153. torna al testo ^

43- J. Evola, Il valore dell'occultismo nella cultura contemporanea, in "Bilychnis", XXX, 11, 1927; ora in J. Evola, I Saggi di Bilychnis, Edizioni di Ar, Padova, 1987, pp. 67-90. torna al testo ^

44- «Cuvântul», III, 1 dicembre 1927. Nell'articolo Eliade parla già di Evola come di un autore da lui ben conosciuto, dato che segnala la rivista "Ur" e cita vari argomenti tra quelli trattati abitualmente dallo studioso italiano, il cui saggio sull'occultismo dimostra, a suo parere, «comprensione del problema [...] chiarezza, originalità» (ringrazio il professor Roberto Scagno per avermi fornito copia dell'articolo e Cristina Dascalu per la traduzione). torna al testo ^

45- Una parziale testimonianza di tali interessi la si può trovare in Fragmentarium, Ed. de l'Herne, Parigi, 1989. Si tratta di una raccolta di articoli, apparsi negli Anni Trenta principalmente su "Vremea", raccolta già predisposta dallo stesso autore. Purtroppo è evidente la censura selettiva di tutti i pezzi in vario modo "imbarazzanti" per l'Eliade. Circa gli interessi di ordine "tradizionale" a lui propri, almeno fino agli Anni Quaranta, va segnalata una testimonianza di R. Guénon espressa in una sua lettera del 26 settembre 1949: «Eliade [...] è quasi interamente d'accordo con le idee tradizionali, ma non osa mostrarlo troppo in ciò che scrive, perché teme di urtare le concezioni ammesse ufficialmente; ciò genera un miscuglio abbastanza spiacevole [...] speriamo, pertanto, che alcuni incoraggiamenti possano contribuire a renderlo meno timido.» (cit. in J. Robin, René Guénon Testimone della tradizione, Il Cinabro, Catania, 1993, p.10). torna al testo ^

46- J. Evola, Il Cammino del Cinabro cit., p.152 e M. Eliade Fragments d'un journal..., cit. p.193. In ambedue i casi gli autori descrivono l'episodio in modo analogo, però forniscono l'anno sbagliato: Evola il 1936, Eliade il 1937. Infatti gli articoli scritti da Evola dopo il suo viaggio in Romania, dove conobbe anche il capo del Movimento Legionario, Corneliu Codreanu, dimostrano che l'incontro avvenne nel marzo 1938 (cfr. La tragedia della Guardia di Ferro romena: Codreanu, in "La Vita Italiana", XXVI, dicembre 1938). Quasi tutti gli articoli evoliani sull'argomento sono stati raccolti da C. Mutti in: J. Evola, La tragedia della Guardia di Ferro, Fondazione J. Evola, Roma 1996. torna al testo ^

47- "Vremea", VIII, 382, 1935. torna al testo ^

48- Per un inquadramento dell'autore in particolare come studioso di arte tradizionale cfr. G. Marchianò, L'armonia estetica, Dedalo, Bari, 1974, pp. 56-94, mentre per uno studio più introduttivo sulla vita e le opere cfr. G. Monastra, Ananda K.Coomaraswamy: dall'idealismo alla Tradizione, in Futuro Presente, II, 3, 1993. torna al testo ^

49- R. Lipsey, Coomaraswamy: His life and work, Princeton University Press, Princeton, 1977. torna al testo ^

50- A. K. Coomaraswamy, What is Civilization?, Lindisfarne Press, Great Barrington, 1989, p.123. torna al testo ^

51- A. K. Coomaraswamy, Autoritè spirituelle et pouvoir temporel dans la perspective indienne du gouvernement, Archè, Milano, 1985, p.10 (trad. francese di Spiritual Authority and Temporal Power in the Indian Theory of Government, New Haven, 1942) torna al testo ^

52- A. K. Coomaraswamy, Il Grande Brivido, Adelphi, Milano, 1987, pp. 236 e 240 (trad. italiana di: Traditional Art and Symbolism, Princeton University Press, 1977). torna al testo ^

53- Selected Letters of A. K. Coomaraswamy, Oxford University Press, Oxford, 1988, p.138. torna al testo ^

54-  Selected Letters cit., p. 421. Sulla stessa rivista Coomaraswamy fa riferimento in senso positivo a Evola anche in altri casi (Selected Letters cit., p.364) torna al testo ^

55- The Visva-Bharati Quarterly - Vol. V, Parte IV, Nuova Serie, 1940. Accanto al testo di Evola, si trovano saggi di Tagore (Satyam), Nehru, il futuro Primo Ministro indiano, (L'India in una unione federale di nazioni), Kripalani (Educazione di base e filosofia gandhiana e Democrazia e non-violenza) e di altri personaggi di spicco della cultura e della politica indiana dell'epoca. torna al testo ^

56- Si tratta di dieci note o aggiunte alle note evoliane, tutte nello stile di Coomaraswamy secondo cui le affermazioni di ordine tradizionale devono essere sempre chiare e ben documentate con riferimenti testuali. Solo in un caso Coomaraswamy, oltre a integrare quanto afferma Evola, ne corregge lievemente il contenuto. Si tratta del passaggio dove lo studioso italiano afferma che la "dedizione" assoluta in amore è tipica della sola donna nei confronti dell'uomo: ciò, secondo Coomaraswamy, è vero nei limiti in cui lo sposo costituisce per la sposa "il simbolo di Dio". Ma, sotto il profilo tradizionale, a sua volta anche l'uomo di fronte alla Divinità assume un ruolo "femminile", tributando amore con dedizione totale, senza che questo comporti alcuna degradazione, a differenza di quanto Evola lascia intendere. Nemmeno l'uomo può, dunque, considerarsi autocentrato: la "sufficienza interna" di cui si parla in Rivolta è un fatto relativo da non assolutizzare. torna al testo ^

57- R. Guénon, Lettere a Julius Evola, a cura di R. del Ponte, Sear Edizioni, Borzano 1996 torna al testo ^

58- R. Guénon, Lettere a Julius Evola cit., p.47 torna al testo ^

59- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Bocca, Milano, 1951. torna al testo ^

60- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno edizione del 1934, p. 105. torna al testo ^

61- Il francese G. Vallin (1921-1983), autore di notevole spessore culturale, studioso di metafisica, vicino alle posizioni guenoniane, ha insegnato per lungo tempo filosofia all'Università di Nancy II. I suoi studi comparativi, i suoi raffronti fra i due contesti tradizionali di Oriente e Occidente meriterebbero una attenta considerazione, di cui purtroppo non hanno goduto finora. Il suo nome, ignoto in Italia, ci ricorda un analogo destino di oblio, quello di Ada Somigliana (1900-1990), le cui acute analisi, anch'esse di tipo comparativo, dedicate ai rapporti tra il pensiero dei sapienti della Grecia arcaica, come Eraclito, e la speculazione indù, sono state colpevolmente ignorate anche da molti addetti ai lavori. torna al testo ^

62- G. Vallin, La perspective metaphysique, Dervy-Livres, Parigi, 1977, p. 84. In base a quanto detto, il modo migliore per leggere Rivolta contro il mondo moderno dovrebbe essere quello di farne uno studio comparato con testi per certi aspetti analoghi, ma pensati da prospettive in parte diverse, tra cui ricordiamo, oltre La crisi del mondo moderno di Guénon (Mediterranee, Roma, 1969) e L'uomo e la certezza di F. Schuon (Borla, Torino, 1967), anche Ancient beliefs and modern superstitions (Quinta Essentia, Cambridge, 1991) e The Eleventh Hour (Quinta Essentia, Cambridge, 1987) di M. Lings. torna al testo ^

63- cfr. A.Arber, Il molteplice e l'Uno, Astrolabio, Roma, 1969. Nella sua vasta produzione, in parte influenzata dal pensiero di Guénon e Coomaraswamy, l'inglese A. Arber (1879 - 1960), insigne botanica, naturalista, ma anche studiosa di metafisica e religione, ha affrontato, secondo una visione olista e goethiano-archetipica, molte problematiche di filosofia della natura e della scienza: cfr. L'occhio e la mente (Vallecchi, Firenze, 1991) e The natural philosophy of plant form (Cambridge, 1950). torna al testo ^

I testi delle recensioni di Guénon, Benn, Eliade e Coomaraswamy sono contenuti nell'ultima edizione di Rivolta contro il mondo moderno (Mediterranee, Roma 1998).

 

Giovanni Monastra

 

 

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Articolo inserito in data: mercoledì, 14 luglio, 1999.

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