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Edward Goldsmith, Il Tao dell'Ecologia

Franco Muzzio Editore, Padova, 1997, pp. 502, L. 38.000.

di Eduardo Zarelli

A prima vista sembrerebbe scontato che un libro onnicomprensivo di un autore importante assuma le vesti di un vero evento editoriale. Tanto più se il volume affronta esaustivamente tematiche di rilevanza epocale, che scarseggiano nell'offerta superficiale del "mercato" delle idee.

In realtà, quest'ultima fatica di Edward Goldsmith, difficilmente rintracciabile nel circuito mediatico-commerciale, è un libro semplicemente fondamentale, che emblematicamente non ottiene riscontro neppure negli ambienti di primo -anche se non esclusivo- riferimento: gli "ambientalisti" nostrani. Evidentemente, sono gli stessi ambienti "alternativi" a mancare colpevolmente di una visione del mondo realmente anticonformista, che darebbe loro ruolo e identità alle soglie del terzo millennio e, soprattutto, nella crisi profonda in cui si dibatte il paradigma tecno/scientifico dominante.

Ma partiamo dall'autore.

Edward Goldsmith è probabilmente uno dei più profondi pensatori ecologisti al mondo. Instancabile settantenne, dirige The Ecologist, una delle più importanti riviste di ecologia, con cui conduce battaglie culturali e sociali in prima persona. Nel 1991 gli è stato attribuito uno dei più ambiti riconoscimenti a livello internazionale, il Right Livelihood Award, il "Premio Nobel Alternativo" che viene presentato ogni anno al Parlamento svedese il giorno che precede la premiazione dei Premi Nobel. Tra i suoi libri più importanti ricordiamo La morte ecologica (Laterza, 1972), The Stable Society (1978), The social and environmental effects of large dams (1984), 5000 giorni per salvare il pianeta (Zanichelli, 1990), La grande inversione (Muzzio, 1993).

Quest'ultima sua opera Il Tao dell'Ecologia, è da considerarsi la summa della ricerca di un pensatore da sempre proteso a recuperare un rapporto armonico tra l'uomo e la natura, in quanto illustra le motivazioni scientifiche, etiche, psicologiche e religiose di un rapporto drammaticamente deteriorato.

La stessa organizzazione del testo è un richiamo olistico a ritrovare nella parte il tutto e viceversa. In effetti, si può affrontare la lettura di ognuno dei 65 capitoli che compongono l'opera indipendentemente dal restante, ma solo nell'interezza è possibile percepire la visione di totalità che Goldsmith vuole trasmetterci. Intuitivamente, ancor prima che speculativamente, in quanto oggetto primario è rimettere in discussione il paradigma scientifico dominante che nutre il proprio riduzionismo di neopositivismo empirico e presunta logica razionale.

Goldsmith definisce "modernismo" la visione del mondo, che attualmente gli accademici condividono con il resto della società. Esso si rispecchia fedelmente nel paradigma economicista e tecno/scientifico. L'assioma che li accomuna è che tutti i benefici (leggi "beni" e "servizi"), cioè il nostro benessere, derivano dalla civilizzazione umana; sono il prodotto della scienza, della tecnologia, dell'industria e dello sviluppo economico che li rende possibili. La salute è quindi considerata come qualcosa di dispensato negli ospedali, o almeno dalla professione medica, con l'aiuto delle apparecchiature tecnologiche e dei preparati farmaceutici. L'educazione viene considerata una merce che si può acquistare nelle scuole e nelle università. La legge e l'ordine pubblico, invece di essere caratteristiche naturali della società umana, sono considerati come elementi forniti dalle forze di polizia in combinazione con tribunali e sistema carcerario. Perfino la società diventa un prodotto umano, creato dal "contratto sociale". Non sorprende quindi che la ricchezza di una nazione sia valutato in base al suo prodotto nazionale lordo (PNL), che fornisce una misura approssimativa della sua capacità di fornire ai cittadini tutti questi beni prodotti dall'uomo, principio, questo, che è fedelmente rispecchiato nell'economia moderna. Gli inestimabili benefici forniti dal normale funzionamento dell'ecosfera -un clima favorevole e stabile, il suolo fertile e l'acqua potabile, senza i quali la vita non è possibile su questo pianeta- sono ritenuti senza valore e totalmente ignorati; ne consegue che essere privati di questi "non-benefici" non costituisce un "costo" e che i sistemi naturali che li forniscono possono quindi essere distrutti impunemente, dal punto di vista economico.

Il secondo dogma fondamentale della visione del mondo del modernismo deriva, del tutto logicamente, dal primo: per massimizzare tutti i benefici, e quindi il nostro benessere e la nostra ricchezza, dobbiamo massimizzare lo sviluppo economico o "progresso", che si rivela essere, in realtà, la sistematica sostituzione della tecnosfera o mondo surrogato -la fonte dei benefici artificiali- all'ecosfera o mondo reale -fonte dei benefici naturali. Porre in dubbio l'efficacia di questo processo fatale è una bestemmia per la religione del progresso. Per la "industria dello sviluppo" è sacrilego sostenere, ad esempio, che la modernizzazione dell'agricoltura nei Paesi del Terzo Mondo è la causa principale della malnutrizione e della carestia in quei Paesi (vedi di E. Goldsmith, La Fao e la fame, Macro, 1993); o che la medicina moderna non è riuscita a prevenire un aumento dell'incidenza globale di quasi tutte le malattie, fatta eccezione per il vaiolo. Così come nessun "credente" accetterà che la sistematica distruzione sociale e ambientale cui stiamo assistendo sia causata da questo "sacro" processo. Essa sarà invece imputata a deficienze o difficoltà nella sua realizzazione.

In questo modo, la visione del mondo del modernismo ci impedisce di comprendere il nostro rapporto con il mondo reale, quello in cui viviamo, e di adattarci ad esso in modo da massimizzare il nostro benessere e la nostra reale ricchezza. La visione del mondo del modernismo e, in particolare, i paradigmi della scienza e dell'economia servono invece a razionalizzare lo sviluppo economico o "progresso", che ci sta portando alla distruzione del mondo naturale.

Come è possibile che gli "oggettivi" scienziati si comportino in modo tanto poco oggettivo?

Semplice, la scienza non è oggettiva, e questo è stato ben provato da alcuni dei maggiori filosofi della scienza come Thomas Khun e Michael Polanyi. Una ragione per cui gli scienziati accettano il paradigma della scienza e, quindi, la visione del mondo del modernismo, è che esso razionalizza le politiche che hanno fatto nascere il mondo moderno in cui essi credono. È molto difficile per una persona evitare di considerare il mondo in cui vive -l'unico che ha mai conosciuto- come la condizione normale della vita umana su questo pianeta.

Un'altra ragione per cui la nostra società scientifica accetta ancora il paradigma della scienza è che, sebbene dipinga un quadro fuorviante della realtà, esso è perfettamente coerente. Ed è necessariamente così, in quanto le teorie scientifiche vengono dimostrate empiricamente come confacenti al paradigma dominante, senza che vi sia oggettività di giudizio. Allo stesso tempo, le discipline costituite da queste teorie sono giudicate scientifiche solo se conformi al paradigma riduzionistico e meccanicista ispirato alla fisica newtoniana, malgrado che la fisica newtoniana sia ritenuta superata dalla teoria quantistica.

Negli ultimi sessant'anni, i comportamentisti hanno adeguato la psicologia a questo modello. I neodarwinisti e i sociobiologi hanno fatto altrettanto con la biologia. Anche la sociologia è diventata meccanicista e riduzionistica, e lo sviluppo della nuova ecologia negli anni Quaranta e Cinquanta ha creato un'ecologia newtoniana, che invece di fornire le basi teoriche del movimento ambientalista -come crede fermamente la maggior parte dei suoi aderenti- serve a razionalizzare ulteriormente, e quindi a legittimare, lo stesso processo di sviluppo economico, o progresso, che è la causa principale del degrado ambientale. In questo modo, tutte le conoscenze accademiche sono tali se conformi al paradigma dominante che informa una visione del mondo meccanicista, in base alla quale le persone sono ridotte a macchine con esigenze puramente materiali e tecnologiche, cioè le uniche che lo Stato e il sistema industriale sono capaci di soddisfare. Il circuito perverso si chiude nella considerazione di ogni problema sociale ed ecologico come malfunzionamento riconducibile ad una soluzione tecnologica che, razionalizzando, legittimerà ulteriormente il progresso.

Nei termini di questo falso paradigma non si favoriranno mai le politiche necessarie per fermare la distruzione del Pianeta e sviluppare uno stile di vita sostenibile. In tali condizioni è della massima urgenza una visione del mondo ecologica, alla luce della quale tutto questo diventi possibile. Grazie alle riflessioni di Goldsmith, abbiamo una proposizione, in questo senso, quanto mai completa e sostanziale.

Il suo libro è il tentativo riuscito di argomentare i principi fondamentali d'una visione del mondo ecologica. Questi principi sono tutti interrelati e formano un modello onnicomprensivo e coerente nei nostri rapporti con il mondo in cui viviamo.

L'ispirazione, dichiarata da Goldsmith, deve venire dalla visione del mondo delle società vernacolari (leggi "autogovernate"), in cui l'armonia naturale informava l'attitudine umana alla vita. Non è un caso che Goldsmith rinunci programmaticamente ad ogni utopia concettuale per immergersi in un esempio reale di esistenza e compararlo col presente. L'ecologia non ha il compito idealistico di aggiungere un nuovo mondo artificiale a quelli già prodotti dalla civiltà industriale, ma più semplicemente ri/adattarci al mondo reale.

La caratteristica che colpisce, nello studio delle antiche società vernacolari, è la loro sostanziale similitudine simbolica nella diversità delle culture e degli ambienti abitati. Esse ponevano in evidenza due principi fondamentali che stanno alla base di una visione del mondo ecologica. Il primo è che il mondo vivente -o "ecosfera"- è la fonte di tutti i benefici e quindi di tutta la ricchezza, dispensati, però, solo se ne conserviamo l'ordine cruciale. Da questo primo principio ne segue il secondo: l'obiettivo primario del modello di comportamento di una società ecologica deve essere quello di preservare l'ordine cruciale del mondo naturale o del cosmo (omeostasi -vedi di Goldsmith/Bunyard, L'ipotesi Gaia, RED, 1992).

In molte culture arcaiche ritroviamo una parola per tale modello di comportamento: gli indiani dell'epoca vedica lo chiamavano r\ta; nell'Avesta è chiamato a_a; gli antichi egiziani lo chiamavano maat; un altro termine indù, in seguito mutuato dai buddhisti, è dharma; i cinesi lo chiamavano Tao.

Il Tao come "principio primo" onnicomprensivo di tutte le cose. Tutti gli esseri viventi, uomini inclusi, fanno parte di questo ordine naturale onnicomprensivo, soggetto al Tao che ne è il principio regolatore. Il Tao come ordine della natura, ne governa l'azione. Gli esseri umani seguono il Tao, o la Via, comportandosi naturalmente. In termini taoisti ciò significa attenersi al principio del wuwei (non azione) di Lao-Tzu, perché «quando tutte le cose obbediscono alle leggi del Tao, esse formano un tutto armonioso e l'universo diventa un tutto integrato».

Se seguire la Via significa mantenere l'ordine cruciale del cosmo, si può ritenere che una società lo faccia quando il suo modello di comportamento, o di autogoverno, sia omeotelico. L'omearchia è il concetto chiave dell'intera visione olistica di Goldsmith ed indica il controllo di sistemi naturali differenziati da parte della gerarchia di sistemi più ampi, di cui essi fanno parte. Quando, al contrario, è eterotelico (il controllo delle parti di un sistema da parte di un agente esterno/estraneo alla gerarchia), si deve ritenere che la società segua l'anti-Via, quella che minaccia l'ordine del cosmo e provoca inevitabilmente la rottura degli equilibri.

Le unità di attività omeotelica sono le unità sociali naturali entro le quali gli esseri umani si sono evoluti: la famiglia, la comunità e la cultura che la sostanzia. Quando si disintegrano sotto l'impatto dello sviluppo economico, queste unità sono sostituite da istituzioni -politiche, economiche e sociali- il cui comportamento è sempre più eterotelico rispetto all'obiettivo di mantenere l'ordine cruciale della società e della gerarchia gaiana (Gaia, dea greca della terra, è la biosfera assieme al suo sostrato geologico e al suo ambiente atmosferico).

Così l'educazione non svolge più la sua funzione di socializzare i giovani in un contesto comunitario, i modelli d'insediamento non rispecchiano più la struttura sociale e quella del cosmo, la tecnologia e le attività economiche cessano di essere "parte" dei rapporti sociali e vanno rapidamente fuori controllo divenendo i principali fattori di disgregazione sociale e distruzione ecologica. La religiosità diventa universale e ultramondana e non sacralizza più il mondo naturale e la struttura sociale, lasciandoli esposti al disincanto e, quindi, allo sfruttamento.

Alla luce dell'analisi fornita da Goldsmith, ciò che viene comunemente inteso per "progresso" è la negazione stessa della "evoluzione" all'interno del processo gaiano. Poiché l'evoluzione deve essere identificata con la Via, che mantiene l'ordine cruciale e quindi la stabilità dell'ecosfera, il progresso o antievoluzione può essere identificato con il comportamento eterotelico che sconvolge l'ordine cruciale pregiudicandone la stabilità.

Per i neodarwinisti, che considerano l'evoluzione come un processo casuale senza direzione, la tecnosfera industriale rappresenta il miglior risultato possibile nell'adattamento conflittuale e predatorio del genere umano. Esattamente al contrario, l'evoluzione nei termini di una visione del mondo ecologica è un processo orientato a un fine solidale e tende alla stabilità della gerarchia degli ecosistemi o climax (una volta raggiunto, non è richiesto nessun ulteriore sviluppo e le energie e le risorse sono usate solo per il mantenimento).

La civiltà industriale ha chiaramente deciso di scostarsi sistematicamente dalla Via. Il suo obiettivo primario è lo sviluppo economico o progresso, un'impresa altamente eterotelica che si può realizzare soltanto sconvolgendo metodicamente l'ordine cruciale dell'ecosfera per sostituirlo con un'organizzazione completamente artificiale, la tecnosfera, che trae le proprie risorse dall'ecosfera e in essa scarica i propri rifiuti, sempre più voluminosi e tossici.

Attualmente, con il processo avanzato di globalizzazione del progresso, stiamo rapidamente raggiungendo un disclimax ecosferico planetario, in cui l'uomo riuscirà effettivamente a cancellare tre miliardi di anni di evoluzione per regalarsi un mondo impoverito e degradato sempre meno capace di sostenere forme di vita complesse tra cui l'uomo stesso.

È ancora possibile invertire la rotta?
I tempi della natura sono lenti e profondi quanto la dimensione cosmica che sottendono. All'uomo spetta solo di ritrovare la Via che prescinde da considerazioni temporali.

 

Eduardo Zarelli

 

 

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Articolo inserito in data: giovedì, 2 marzo 2000.

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