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Piero Di Vona, René Guénon e la metafisica

Sear, Borzano 1997, pagg. 300, lire 38.000.

di Walter Catalano

da «Diorama Letterario», n. 214, maggio 1998.

Nella premessa al suo libro del 1993 Evola, Guénon, De Giorgio (Sear), Piero Di Vona licenziava quella sua monumentale e fondamentale opera come una valida introduzione ad una ricerca sulla metafisica di Guénon che lo studioso napoletano si accingeva ad intraprendere. Questa «impresa doverosa ed utile», finalmente ultimata e pubblicata ancora dalla Sear, rende ora disponibile al lettore italiano il corpus più completo e approfondito mai scritto nella nostra lingua sul pensiero del maestro francese del Tradizionalismo.

Di Vona, avendo già percorso gran parte dei possibili itinerari guenoniani nel suo primo lavoro, si concentra in questa sua seconda fatica sugli aspetti più ardui, astratti ed ostici delle idee di Guénon riguardanti la metafisica pura: trascura di proposito le pur rilevanti dottrine appartenenti alle tradizioni metafisiche indiane o cinesi -ritenendole di esclusiva pertinenza dell'orientalista- e, in qualità di esperto di ontologia occidentale, sviluppa con metodo ineccepibile le sue analisi in nome di questa scienza. Al lettore completamente sguarnito sull'argomento -non certo d'immediata accessibilità nonostante l'ammirevole chiarezza espositiva dell'autore- e poco a suo agio con le citazioni in lingua originale (soprattutto dal latino, francese e tedesco), si consiglia anche, in funzione propedeutica o alternativa, un altro recente e meno ponderoso volume di Di Vona, René Guénon contro l'Occidente (Il Cerchio, 1998), trattazione più semplice e sintetica delle stesse problematiche, di cui ci occuperemo presto dettagliatamente su queste pagine.

Una delimitazione metodologica del campo d'indagine così scrupolosa come quella cui abbiamo appena accennato, permette all'autore, una volta eliminate tutte le opere di Guénon in cui la metafisica non occupa il centro dell'attenzione e quelle (La Grande Triade e L'Uomo e il suo divenire secondo il Vedanta) in cui i riferimenti sono eminentemente orientali, di prendere in considerazione solo Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Il Simbolismo della Croce, Gli Stati molteplici dell'Essere, ed alcuni capitoli di un testo meno famoso e meno letto, I Principi del Calcolo infinitesimale.

Il pregio maggiore dello studio di Piero Di Vona è, crediamo, quello di collocare -con elementi a sostegno più che solidi e di carattere non sentimentale o aneddotico, ma esclusivamente filosofico- il pensiero di Guénon nel pieno contesto della sua epoca. Al riparo dalle «chiesuole» (l'espressione è di Di Vona) dei numerosi custodi dell'«ortodossia guenoniana», e da certe pretese dello stesso Guénon, le idee del grande tradizionalista, senza nulla perdere del loro innegabile valore, discendono dall'empireo della sapienza rivelata o della primordiale visione dei cosmogonici rishi, per andare a inquadrarsi pienamente entro gli orizzonti del dibattito filosofico anche e soprattutto moderno.

La stessa concezione primaria di Guénon, l'idea stessa di metafisica, da lui intesa in senso etimologico come «ciò che è oltre la fisica» (fisica come l'insieme delle scienze della natura, alla maniera degli antichi, non come scienza particolare della natura, alla maniera dei moderni) ed in quanto tale «al di là dell'esperienza», non è per Di Vona «diversa da quella di Kant, e, ben lungi dall'essere tradizionale, non risale oltre il XVIII secolo». Così anche l'importante teoria guenoniana che moltiplica i punti di vista secondo le forme del sapere, rimanderebbe alla definizione kantiana di trascendentale nell'Introduzione alla Critica della Ragion Pura. A differenza di Kant e di Hegel, però, per i quali l'uomo non ha intelletto intuitivo e la sola intuizione umana è quella sensibile, per Guénon, la facoltà strumento della metafisica sarebbe l'«intuizione intellettuale», cioè l'«intelletto puro» di Aristotele e la buddhi degli indù.

Una relazione interessante e del tutto inusitata, colta da Di Vona, è quella che contrappone la concezione della metafisica in Guénon e in Heidegger. In un saggio di Sentieri interrotti (Il detto di Nietzsche 'Dio è morto'), Heidegger nega «la capacità della metafisica di comprendere la sua essenza, rispetto alla quale essa resta sempre indietro. [...] Se la metafisica concepisse la sua essenza la concepirebbe metafisicamente. Questa incapacità della metafisica fonda il mistero dell'essere in cui questo si nasconde». Per Guénon invece, la metafisica è assolutamente illimitata e «non può studiarsi che metafisicamente». Questa «negazione heideggeriana, nella sua precisa contrapposizione all'asserzione di Guénon, e compresa nella sua unità con quest'ultima, è ben significativa della maniera in cui la metafisica venne avvicinata e pensata nella prima metà del nostro secolo».

Proprio a questo riguardo si può citare un altro accostamento assai significativo, quello con il filosofo francese più conosciuto all'epoca di Guénon, più volte da questo bersagliato polemicamente: Henri Bergson. Di Vona ci dimostra come le analogie tra i due pensatori siano forse più forti delle divergenze. Non a caso, si potrebbe osservare permettendoci uno sconfinamento dal territorio filosofico a quello dell'aneddotica, entrambi gli autori provenivano da un milieu simile, che non disdegnava frequentazioni con certo occultismo fin de siecle : Guénon fu in gioventù vescovo della Chiesa Gnostica derivata dall'Ordine Cabbalistico della Rosa+Croce, fondato a Parigi da Stanislas De Guaita, Josephin Péladan, Papus ed altre eminenze degli ambienti Simbolisti e Decadenti; la sorella di Bergson sposò MacGregor Mathers, per molti anni leader del celebre Hermetic Order of the Golden Dawn, corrispettivo londinese degli stessi ambienti. Erano entrambi innegabilmente figli del loro tempo.

In Introduzione alla metafisica (1903), Bergson oppone la metafisica alle scienze positive della natura, contrappone la conoscenza assoluta (inesprimibile e basata sull'identificazione soggetto/oggetto) alla conoscenza analitica e simbolica, sin qui in perfetta sintonia con le tesi di Guénon, se si esclude il concetto di simbolo, che Guénon considera la via d'accesso all'inesprimibile e superiore al linguaggio e alla ragione discorsiva. Ne L'Evoluzione creatrice, Bergson distingue fra l'intuizione sensibile e l'intuizione «superintellettuale» e «ultraintellettuale», presa di possesso dello spirito «da parte di se stesso», vi sono quindi «due intuizioni di ordine differente»; questo smentisce le accuse di Guénon per cui l'intuizione di Bergson sarebbe sensibile, vitale, infrarazionale. Anche il già citato concetto guenoniano di conoscenza come insieme di punti di vista è quasi identico nei due pensatori: Bergson lo riconduce alle monadi di Leibniz e Guénon ai darshana indù. In ultimo, per Bergson la filosofia è «sforzo per superare la condizione umana» tramite le immagini della durata che inducono l'intuizione; per Guénon, in modo analogo, i simboli conducono alla realizzazione metafisica.

Altro aspetto importante analizzato da Di Vona è quello riguardante la distinzione, basilare in Guénon, tra infinito ed indefinito (il primo «infinito metafisico» e vero infinito; il secondo «infinito matematico», quindi indefinito, semplice estensione del finito). Nella formulazione matematica di questo rapporto, la concezione deriva, con un debito per altro ampiamente riconosciuto da Guénon stesso, dalle idee di Matgioi («Occhio del Sole»), pseudonimo di Albert de Pouvourville (1861-1940), ufficiale francese che nel Tonchino ricevette l'iniziazione taoista e scrisse due libri che ebbero notevole influenza ai suoi tempi, La via metafisica e La via razionale (tradotto in italiano come La via taoista, edito come il precedente da Basaia). Questo collegamento «esoterico» e «orientale», non impedisce a tali concezioni di essere perfettamente congruenti «con quelle che erano state elaborate dal pensiero moderno», anche per l'uso simbolico, comune sia a Matgioi che a Guénon, delle matematiche e della geometria moderne: «[...] l'idea non era diversa, bensì fondata nella cultura filosofica francese del loro tempo». Da Cartesio a Spinoza a Leibniz, il problema trova sviluppi che giungono fino a Hegel («L'infinito, l'affermazione come negazione della negazione»), confermando come i punti essenziali della metafisica guenoniana, le «idee di infinito, di Possibilità universale e di affermazione assoluta e totale, sono assai comuni nel pensiero occidentale moderno, e, così come sono state espresse dal nostro autore, niente affatto indù».

Di Vona, che ha dedicato diversi saggi in ambito accademico al pensiero di Spinoza, individua in modo particolare l'influenza di questo filosofo in molte concezioni considerate «tradizionali» dal metafisico francese e trova «difficile dire con quanta sincerità Guénon lo abbia potuto accusare di panteismo, pur servendosi con larghezza delle sue dottrine». Un possibile ponte fra i due pensatori è dato dalla figura eccentrica dell'occultista franco-italiano Stanislas De Guaita che, nel suo libro più noto Il tempio di Satana ben conosciuto in gioventù da Guénon, «vide in Spinoza il detentore dell'alta scienza esprimente la verità sub specie aeternitatis». De Guaita era con Papus, Péladan e Oswald Wirth, fra i fondatori di quel già citato ordine, sedicente Rosa+Croce, che avrebbe avuto sul Tradizionalista un influsso ben più determinante di quanto egli abbia in seguito mai voluto ammettere.
Proprio nella spinoziana contemplazione delle cose sub specie aeternitatis, grado supremo della liberazione secondo il filosofo ebreo, si ritrova l'analogia più forte con l'ideale ultimo di Guénon, la «libertà assoluta» , «al di là dell'Essere» e «senza dualità». «Se per l'uomo c'è un divenire -conclude Di Vona- [...] Questo divenire è un divenire verso gradi sempre maggiori di libertà [...] la liberazione postula e pone la libertà. Come questa metafisica, la cui ultima parola è la libertà, e che è una metafisica della libertà per il fatto stesso di essere una metafisica della liberazione, abbia potuto essere presa per base di una dottrina della razza, e di altre teorie in ogni caso pur sempre limitatrici della libertà, è certo un fatto a suo modo enigmatico».

Nel penultimo, breve capitolo del libro, dedicato all'Iniziazione, Di Vona è ancora più categorico: citando, in qualità di «semplice studioso», il famoso aforisma dal Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein -«Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere»- liquida con rigore estremo tutto quanto si possa dire o scrivere su tali argomenti. «Non ci sono vie di mezzo: o si è e si sa, ed allora si tace, sempre e con chiunque; o non si sa, ed allora si parla perché si è soltanto uno sciocco».

I cenni che abbiamo cercato di dare, necessariamente frammentari e discontinui, possono fornire al lettore un'idea, seppur approssimativa, della complessità e della profondità di questo studio. Ci resta solo da dichiarare in chiusura la nostra adesione ed il nostro sostegno ad opere che svolgano, come quella di Di Vona egregiamente fa, la giovevole funzione di riportare certi autori, al di fuori e al di là dello speculare dualismo che li vede ora intoccabili guru, ora pericolosi «nemici del popolo», nell'ambito proprio al confronto ed all'approfondimento «scientifico» delle idee, nel pieno rispetto delle diverse opinioni e soprattutto nella imparziale obbiettività del giudizio. Crediamo fermamente che, proprio grazie a ricerche e analisi che sappiano esplorare impervi territori tracciando mappe di una «sapienza» non anchilosata e dogmatica, quello che Alain De Benoist definì «il mito incapacitante del Tradizionalismo», possa risolversi in un utile paradigma di riferimento -uno in più fra i molti a disposizione dello studioso- non mito ma modulo e parametro o in certi casi antidoto, non incapacitante ma fecondamente differenziante.

E proprio in questa chiave di lettura che la designa valido strumento pratico, fertile prospettiva critica sulla realtà, Di Vona sembra rendere un conclusivo omaggio all'opera del controverso autore oggetto del suo studio:

«nonostante i limiti che si possono imputare a Guénon, e le critiche che gli si possono rivolgere, le sue opere offrono pur sempre un orientamento e strumenti di difesa per chi -"avendo perduto la fede"- si addentri nella selva di culti che, numerosi e difformi, assediano lo spirito di tanti occidentali del nostro tempo. La lettura di Guénon, nonostante tutto, preserva o mette in guardia da tante pericolose avventure dello spirito che oggidì facilmente si tramutano in veri e propri pericoli per la propria integrità umana».

 

Walter Catalano

 

 

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Articolo inserito in data: venerdì, 2 ottobre, 1999.

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