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Pier Luigi Cervellati, L'arte di curare la città

Bologna, Il Mulino, 2000, pp., 118, L. 18.000.

di Eduardo Zarelli

L'architetto Pier Luigi Cervellati insegna Recupero e riqualificazione urbana e territoriale nella Facoltà di Architettura dell'Università di Venezia. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo La città post-industriale (1984) e La città bella (1991), ma il suo nome è particolarmente noto per le dure polemiche sostenute negli ultimi decenni contro la vulgata (e la pratica) dominante nell'urbanistica e nell'architettura contemporanee, protese in quella razionalizzazione ed efficienza modernizzante, che metaforicamente, Jünger ben definì come "imbiancamento".

Con questo agile volume, l'autore mette a fuoco lo stato di avanzamento dell'omologazione urbana e si prefigge una "modesta proposta" per non perdere l'identità storica e culturale al fine di ri-trovare le nostre città e, conseguentemente, renderle più vivibili.

L'avvio del terzo millennio si annuncia con il rifiuto di molte regole e comportamenti celebrati dalla razionalità pianificatoria della società industriale. Assodato l'esito suicida della metastasi metropolitana, non si tratta più di fondare "nuove città", bensì di risanare ­ curare ­ ciò che è stato tumultuosamente costruito, imparando l'arte, tutta artigianale, del restauro e della manutenzione urbana e paesaggistica. Molti sono i problemi che pone oggi all'urbanista l'intervento sull'assetto della città o, meglio, su quegli aggregati urbani e suburbani, che sono diventate, in particolare, le città occidentali. Anche il problema del centro storico, che tanto ha appassionato gli addetti ai lavori degli anni '60, non si poneva più negli stessi termini. Il centro storico semplicemente non esiste più: ci sono banche al posto dei caffè - a loro volta divenuti "bar"... - uffici al posto degli alloggi. Lo spazio da conservare o da riqualificare, per non perdere l'identità storica e culturale, oltrepassa le mura - peraltro già abbattute - e comprende anche la periferia e la campagna, secondo un'idea globale il territorio, in cui il limite diventa una risorsa, anzi, la vera fonte originaria per declinare la modernità fuori dal destino nichilistico del funzionalismo tecnocratico. Si tratta di trasformare in centro la periferia, e non viceversa, e di suddividere l'urbanizzato in ambiti, che consentano il formarsi di piccole e medie comunità, recuperando ciò che è stato alterato e ripristinando il carattere dei luoghi deturpati, secondo terapie precise, con prognosi derivate da conoscenza ed esperienza, che affondano le loro radici nel sapere condiviso dell'identità collettiva fattasi archetipo di autorappresentazione e, contemporaneamente, qualità della vita.

Cervellati non si nasconde dietro un cartongesso professionale e ci parla di «modello statunitense», che avanza nell'insipienza politica e culturale delle classi dirigenti. La «non città» è formata dalle villettopoli e da «non luoghi», quali il supermercato, gli svincoli autostradali, le nuove grandi opere... mentre la città "vecchia" e "nuova" diventa un simulacro di se stessa, sussunta da insediamenti artificiali autoreferenziali, che dissimulano una armonia perduta per una neo-borghesia ansiosa di confortevoli rimozioni dalla nevrosi consumistica. Al non luogo corrisponde la non città; a quest'ultima, ovviamente, si associa la non campagna. La mancata soluzione di continuità di una omologazione industriale composta di capannoni per allevamenti in batteria e monocolture, che imprimono il calco alienante del profitto sulla diversità delle culture materiali e il senso plurisecolare del luogo e dei saperi.

Si cercano modelli alternativi e, da eterni provinciali, si importano segni e disegni realizzati altrove, ma il malessere urbano si perpetua ben oltre le effimere mode. Con la perdita dell'identità storica e ambientale, la città tende ad omologarsi a un'illimitata periferia. La vera inversione di segno parte semplicemente dalla rilettura delle radici della storia del territorio, del suo modo di essere - e di essere stato - per innescare un riordino urbano in grado di "recuperare" e "mantenere" quelle peculiarità che hanno sempre caratterizzato la città.

Le mappe storiche ci guidano nell'individuare le aree da "rinaturalizzare", con una funzione preminente di riequilibrio ambientale. Il sistema dei canali, dei boschi, dei prati e dei campi è uno strumento orientativo e organizzativo del territorio, che si dispone quale "monumento del paesaggio" per riqualificare la stessa progettazione edilizia.

Altro obiettivo eminente legato alla struttura storica è il senso di rappresentanza e di comunicazione socioculturale, che si ha evidenziando il bel paesaggio. Una bellezza legata tanto ai valori estetici (paesaggistici e architettonici), quanto etici (con i quali si misura la qualità e l'identità di un insediamento). Per impostare il futuro senza distruggere la memoria, si deve guardare attentamente alle aree pesantemente trasformate. La ricostruzione del territorio, con il recupero del tessuto edilizio, si deve coniugare con interventi di rinnovo per organizzare e localizzare le necessità, le funzioni e i servizi. Per riqualificare la periferia in "città", il piano regolatore è uno strumento, che deve essere prima di tutto scritto nella natura e nella storia del territorio, per individuare le specificità e codificarle in norme e regole con le quali sviluppare le attività umane. Natura e storia, hanno risposte omogenee e consentono di individuare un obiettivo generale: l'integrità fisica e la salvaguardia dell'integrità culturale del territorio, su cui misurare qualitativamente e quantitativamente lo sviluppo.

In tutti i Paesi occidentali, il passaggio dalla società contadina a quella industriale ha comportato l'inurbamento di migliaia di persone. Lo sviluppo dei mezzi motorizzati e l'espansione edilizia hanno provocato la grande periferia. Poi, con il processo di de-industrializzazione, le persone sono andate ad abitare nei centri vicini. Si è così formata quella che, molto genericamente, è stata definita "area metropolitana". Ora, per rilegittimare la città in tale contesto, bisogna� arrestarne l'espansione a megalopoli anonima e individualistica e ri-delimitarne il territorio in settori, "luoghi": le città/comunità, nel senso indicato dall'antropologo Eibl-Eibesfeldt: «nell'ambito del risanamento urbano va considerata la suddivisione delle città in settori mediante infrastrutture che facilitino la formazione di piccole (medie) comunità»1. Solo così sarà possibile stabilire un rapporto corretto fra un luogo e l'altro. Il centro storico, in questo contesto, è il riferimento archetipico dell'insediamento territoriale, ma non è il solo centro - storico e/o antico - dell'area urbana: per risonanza, ci sono altri centri, altri luoghi, che esprimono analogicamente la centralità, sempre riferita ad una storia o ad una "struttura" - si pensi alle parrocchie, alle contrade o ai "vicinati" - in grado di facilitare l'aggregazione degli abitanti e il loro senso di appartenenza ad una comunità. Questo policentrismo comunitario, basato sui luoghi, diviene l'antidoto all'omologazione periferica, la città torna ad essere "distruttrice di periferia", cioè di spaesamento e alienazione. La suddivisione dell'urbanizzato in spazi, che consentano la formazione di piccole o medie comunità, ha questo preciso obiettivo: trasformare in "centro" la periferia, che non si risana dilatandola, ma delimitandola qualitativamente, ritrovando le atmosfere della "provincia" nell'identità collettiva.

L'architetto Cervellati cerca, in ultima analisi, di declinare la modernità ancorandola al mantenimento delle identità storiche e culturali. La modernità non deve essere perseguita, ma proiettata culturalmente, progettata spazio/temporalmente in una sintesi creativa tra passato e futuro. Manutenere ciò che resta ancora integro, restaurare e ripristinare ciò che è stato alterato, ristabilendo le condizioni originarie dei luoghi deturpati, dovrebbe essere il nostro progetto modernizzante. Per realizzare tutto ciò necessita una proiezione politica, nonché sociale ed economica, che l'autore non tratta, immaginiamo per un pudore legato alle sue competenze. A noi desumere, che l'attuale modello di sviluppo sia espressione di interessi e rapporti di forza avversi alla formulazione comunitarista del sociale e partecipativa della sovranità politica, cioè dell'identità culturale collettiva. Cervellati comunque, non si abbandona ad un pessimismo snobistico e si auspica, nel contesto europeo, pluralistico, la riscoperta palingenetica delle nostre radici. Da quest'ultime intravede la possibilità policentrica di un equilibrato rapporto tra identità e differenze, supportate sussidiariamente e legittimate politicamente nella complementarietà olistica del "grande spazio" continentale.�

 


Note

1- Eibl-Eibesfeldt I., Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento, Torino, 1993. torna al testo ^

 

Eduardo Zarelli

 

 

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Articolo inserito in data: martedì, 14 novembre, 2000.

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