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Lettera aperta alla lega antivivisezione (L.A.V.) su Immanuel Kant

di Paolo Scroccaro

 

«Soltanto quando sarà ben penetrata nel popolo quella semplice ed indiscutibile verità che gli animali sono nella sostanza e nell'essenziale ciò che noi siamo, gli animali non saranno più senza diritti ed in balia del malumore e della crudeltà di qualunque rozzo mascalzone; e non sarà più lecito a qualsiasi medicastro di sperimentare, infliggendo i più atroci tormenti a innumerevoli animali, ogni strano capriccio della sua ignoranza, come avviene ai nostri giorni»
(A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, II, 177)

 

Spettabile L.A.V., chi vi scrive apprezza molto le vostre iniziative volte a salvaguardare, per quanto possibile, il mondo animale dalle violenze che quotidianamente vengono perpetrate dalla megamacchina tecnico-scientifica e dalle logiche economiche prevalenti, con il pretesto (tanto volgare quanto infondato) di portare giovamento al mondo umano.
L'atteggiamento antropocentrico, oggi presente in svariate versioni ideologiche, tende continuamente a legittimare le prepotenze contro il mondo non umano, escogitando argomentazioni giustificazioniste subdole e incoerenti, che come tali vanno smascherate. Giustamente, voi denunciate non solo gli innumerevoli episodi di violenza che ogni giorno si ripetono, ma anche la meschina subcultura che sorregge questa continua aggressione da parte della stragrande maggioranza degli umani, subcultura che non può non avere un orientamento antropocentrico.

In questo contesto, sono rimasto colpito da una vostra pubblicità, la quale mostra una maglietta bianca con varie citazioni, in cui accanto a Gandhi, Leonardo da Vinci etc., compare anche I. Kant. La citazione dice:

«L'uomo deve mostrare bontà di cuore verso gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini».

Naturalmente, capisco i motivi della scelta, dato che la citazione ostenta un contenuto che potrebbe sembrare condivisibile di primo acchito. Tuttavia, mi preme sottolineare che si tratta di una citazione estrapolata da una filosofia (quella di Kant) che ha un orientamento sostanzialmente antianimalista1 e non solo, essendo una potente espressione di quel radicale accanimento antropocentrico, che caratterizza così negativamente la civiltà odierna, con contraccolpi devastanti sull'intero mondo non umano.

A questo proposito, è opportuno ricordare che la legge morale, secondo Kant, prevede il rispetto solo della persona umana:

«L'uomo esiste come fine in sé, non soltanto come mezzo adoperabile a piacere per questa o quella volontà
"Ma l'uomo non è una cosa, e quindi non è qualcosa che può esser adoperato solo come mezzo [...]. Dunque io non posso disporre dell'uomo nella mia persona, non posso mutilarlo, danneggiarlo, ucciderlo»
(Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, 1765).

In queste affermazioni e in molte altre di analogo sapore, che stanno al centro della morale kantiana, il fondamento è sempre ed esclusivamente il soggetto morale-razionale umano, il quale sarebbe obbligato al rispetto dei suoi simili (gli uomini), «i quali vanno considerati dei fini e non solo dei mezzi». Kant di questo si accontenta, e non reputa necessario lo stesso rispetto per gli esseri non umani (i quali quindi possono essere sottoposti a quelle prevaricazioni che solo nel caso dell'uomo non sarebbero consentite). L'uomo, infatti, in quanto capace di elevarsi al di sopra della natura tramite la ragione, sarebbe «il vero fine della natura», mentre gli altri esseri figurerebbero in ultima analisi come strumenti a disposizione dell'uomo stesso. Infatti

«nell'intera creazione si può adoperare anche come semplice mezzo tutto ciò che si vuole e di cui si dispone: solo l'uomo, e con lui ogni creatura razionale, é uno scopo in se stesso»
(Critica della ragion pratica, cap. III).

È superfluo sottolineare che gli animali non rientrano nelle creature razionali di cui sopra.

È noto d'altronde che Kant il più delle volte disprezza o comunque ritiene inferiore, tutto ciò che è meramente "naturale" (si intenda l'espressione nel senso più ampio), considerato spesso alla stregua di un ostacolo per l'attività morale dell'uomo, per cui nelle opere del suddetto compare di frequente la fastidiosa equazione: "naturale" = "contrario o estraneo o inferiore alla morale"; ne consegue che (come hanno ribadito importanti studiosi di Kant) «lottando contro la natura e contro i suoi simili per il dominio, l'uomo si raffina sempre più e trasforma la stessa vita sociale [...] in uno stato morale».

Mi scuso per l'estrema sintesi cui mi costringe il contesto: evidentemente, l'argomento meriterebbe una disamina adeguatamente articolata; qui, aggiungerò solo che se si passa dalla teoria al vissuto di Kant, il cui rigorismo morale è stato almeno sopravalutato, le cose non vanno meglio: biografi insospettabili, proprio perché tutt'altro che ostili al filosofo di Königsberg, ci informano che il nostro di fatto non doveva dolersi più di tanto per le disavventure degli animali, dato che, assiduo frequentatore di locande e di tavole imbandite (nonché innaffiate di vino),

«esigeva che in tavola ci fosse anzitutto la carne, di qualunque specie».
(E. Borowski, Descrizione della vita e del carattere di I. Kant)2.

«La prima portata era un brodo di carne, per lo più di vitello. [...] Con la terza arrivava l'arrosto. [...] La carne la masticava soltanto, ne inghiottiva il succo e riponeva il resto sul piatto. Cercava poi di coprirlo con croste di pane, ma senza evitare del tutto l'inconveniente. [...] Un giorno, pur essendo già sazio, mi disse che avrebbe potuto prendere ancora, con molto appetito, un piatto fondo di baccalà [...]".

(R. B. Jachmann, I. Kant descritto in lettere a un amico)3.

In vecchiaia avanzata,

«la mancanza quasi totale dei denti esigeva che tutti i cibi fossero morbidi, specie la carne alla quale teneva molto.» (Come sopra).

Come si può notare, il banchetto kantiano doveva essere ben diverso da quello pitagorico (rigidamente vegetariano e sempre morigerato), e Kant era solito divorare animali non certo per necessità vitale, ma per smodata ingordigia correlata ad una scompostezza interiore di cui i biografi hanno lasciato ampia traccia; in aggiunta a quanto sopra, ci informano che, poco dopo le 12 e tre quarti, gli ospiti

«erano pregati di entrare nella sala da pranzo dove Kant rimaneva a tavola di norma fino alle 4, e, quando gli ospiti erano numerosi, talvolta fino alle 6 ...» (Come sopra).

A tavola, tutto ciò non impediva al nostro filosofo di esibirsi nelle predilette riflessioni "Intorno ai mezzi di mantenersi sano" e in nobili declamazioni volte ad esaltare la legge morale e la superiorità degli spiriti razionali contro gli istinti animaleschi e le bassezze della carne: sempre che l'eccesso di proteine animali (mescolate al buon vino) non avesse come effetto quello di rendere perdente la dura battaglia post-prandiale ingaggiata da Kant contro il sonno assalitore, sempre in agguato. -Il biografo E. Borowski conferma che quando Kant teneva lezioni nel pomeriggio,

«il sonno talvolta lo coglieva di sorpresa, ma allora si alzava subito e insegnava stando in piedi".

Colpa dell'ingordigia, unita allo stile pedante e monotono?.
Si potrebbero citare altri sorprendenti dettagli, riguardanti le insofferenze di Kant per i più svariati aspetti del mondo naturale: pochi conoscono l'avversione del nostro pensatore per il gallo,

«il cui canto interrompeva spesso il corso delle meditazioni di Kant. Questi avrebbe acquistato il rumoroso animale a qualsiasi prezzo, pur di procurarsi la tranquillità [...]» (E. Borowski, op. cit.).

Che dire poi della sua inimicizia per i pioppi cresciuti sulle terre del vicino? Per tale fatto Kant

«s'inquietò e le sue riflessioni ne furono turbate; espresse perciò il desiderio che quei pioppi fossero mozzati. [...] Per fortuna il proprietario [...] sacrificò le vette dei pioppi, sicché la torre riapparve alla vista e Kant poté di nuovo pensare indisturbato»
(E. A. CH. Wasianski, I. Kant negli ultimi anni della sua vita)4.

Risparmio altri episodi, che testimoniano l'ostilità di Kant per molti aspetti del mondo naturale. Mi pare evidente che la citazione da voi utilizzata risulta essere quindi una nota inappropriata o stonata, nel contesto del vissuto di Kant e della sua filosofia ostinatamente antropocentrica: concessioni come quelle della citazione, nella loro sporadicità non esente da equivoci, si possono ritrovare anche in molti altri pensatori, che al pari di Kant però professavano idee e stili di vita antianimalisti e non solo.

Non sembra opportuno citare Kant per meriti che eventualmente spettano a ben altri autori, che hanno manifestato nei confronti dell'intera vita cosmica una profonda sensibilità, un sincero senso di appartenenza ed un vissuto plasmato dalla coerenza. Dato che voi giustamente sostenete anche il vegetarianesimo, pare doveroso segnalare (in luogo di Kant) alcuni filosofi vegetariani, estranei all'antropocentrismo dominante nella modernità. Tra i tanti, possiamo ricordare:

L. Tolstoi (l828-l9l0), il cui scritto Il primo gradino è dedicato alla virtù cardinale della temperanza, (premessa delle altre virtù, come diceva anche Platone), la cui pratica comporta, tra l'altro, la sobrietà nel vivere, il rispetto anche degli animali e il rifiuto dell'alimentazione carnea. Tolstoi lamentava il fatto che perfino i cristiani violassero tali precetti, nella maggior parte dei casi, così da tradire il senso della stessa dottrina cristiana;

Porfirio di Tiro (233-305), filosofo neoplatonico, il quale scrisse il Trattato sull'astinenza dalla carne, proprio per dimostrare che in ogni tempo i saggi (a differenza dei mediocri) evitano l'uccisione degli animali e il mangiar carne, spiegando la correlazione tra questa regola di vita e la realizzazione spirituale;

Plutarco di Cheronea (49-l20), ben noto al pubblico per le Vite parallele, ma non per aver scritto Sul mangiar carne, e altre opere morali, in cui fornisce argomentazioni spirituali, morali ed igienistiche contro l'uccisione degli animali e il mangiar carne.

Aggiungerò anche che Plutarco e Porfirio attribuivano l'Intelligenza anche agli animali, quasi a voler sottolineare una sostanziale continuità con il mondo umano, non accettata da altri.

Tale continuità era riconosciuta, per altri versi, anche da A. Schopenhauer (1788-l860), il quale in Parerga e paralipomena denuncia con parole taglienti le violenze perpetrate nei confronti dagli animali, nel nome della scienza, di qualche morale razionale o di qualche altro disgustoso pretesto. In sovrappiù, nell'opera citata si ritrova anche una severa condanna della vivisezione, già allora praticata con un cinismo che ha fatto scuola:

«per risolvere delle questioni [...] spesso futilissime. [...] Per l'utile della scienza, n'est ce pas?»

si chiede beffardamente Schopenhauer.
Quanta diversità, nella teoria e nella pratica, rispetto a Kant, alla cui sarcofagia impenitente e sgradevole ben si attaglia la sentenza di Porfirio:

«È per ingordigia che gli uomini rifiutano l'Intelligenza agli animali.»

Sperando di poter dare un piccolissimo contributo ad una battaglia culturale che riguarda non solo gli animali, ma in generale tutti quelli che, a vario titolo, sono vittime della megamacchina tecnico-scientifica e dell'attuale modello di civiltà (?), vi saluto con la massima cordialità.

 


Note

1- Mi conforta leggere in un testo pubblicizzato dalla L.A.V. stessa un giudizio su Kant convergente con il mio; infatti Luisella Battaglia, dopo aver richiamato proprio la citazione di Kant riportata nelle magliette LAV-EAR di cui sopra, annota appropriatamente: "Si condanna pertanto la crudeltà verso gli animali per le conseguenze che essa può avere sul modo in cui si trattano gli esseri umani. In tal modo gli animali scadono a meri mezzi, rispetto agli uomini che restano gli unici fini dell'universo morale" (L. Battaglia, Etica e diritti degli animali, Laterza, 1997, pag. 153). torna al testo ^

2- Il teologo E. Borowski, già uditore, era diventato amico di Kant. L'opera, inizialmente manoscritta, venne presentata allo stesso Kant affinché la correggesse, come in effetti fece; egli inoltre ringraziò l'amico per l'onore accordatogli con tale biografia, che venne stampata nel 1804. torna al testo ^

3- Il predicatore R.B. Jachmann, già scolaro di Kant, scrisse una biografia, su suggerimento di Kant stesso, con intenti eminentemente elogiativi, come è stato riconosciuto. torna al testo ^

4- A. C. Wasianski già allievo di Kant, diacono della chiesa locale, gli prestò poi assistenza durante la vecchiaia. torna al testo ^

 

Paolo Scroccaro

 

 

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Articolo inserito in data: domenica, 18 febbraio, 2001.

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