[ Torna all'Indice della sezione]

Indice

Una rivisitazione delle leggi della forma

di Michael Denton e Craig Marshall1, Nature, 410, 22 marzo 2001, p. 417

traduzione italiana e introduzione di Giovanni Monastra

 

 

Michael J. Denton e la concezione platonico-aristotelica della natura

L'articolo del biochimico Michael J. Denton, che riportiamo qui di seguito in versione originale e in traduzione italiana, è stato pubblicato recentemente sul prestigioso settimanale scientifico inglese Nature. Abbiamo pensato che fosse molto utile farlo conoscere a un pubblico più vasto dato il suo contenuto molto interessante, che potrà essere apprezzato non solo dagli studiosi di discipline biologico-naturalistiche, ma anche da tutti coloro i quali seguono il dibattito contemporaneo sui meccanismi che presiedono al processo della "evoluzione" del mondo vivente. Infatti l'Autore, basandosi su alcuni dati scientifici inoppugnabili, delinea un quadro della natura dove esistono delle regole formali, fisicamente analizzabili come l'avvolgimento nello spazio delle catene polipeptidiche costituenti le proteine, regole che sembrano presiedere molti fenomeni di tipo evolutivo. Potrebbero essere parte di quelle leggi, di tipo platonico-aristotelico, peraltro ancora da chiarire, che guidano e strutturano il divenire del mondo biologico. Tale posizione, ridimensionando in modo netto il ruolo delle mutazioni casuali e della selezione naturale, è chiaramente antidarwinista, pur rimanendo nell'alveo della ricerca scientifica ortodossa. D'altra parte alcune idee di Denton ricordano gli studi, ormai classici, del grande citogenetista Antonio Lima-de-Faria, di cui speriamo presto di vedere la pubblicazione in italiano del poderoso Evolution without Selection (Elsevier, 1988), recentemente tradotto da Stefano Serafini, con la supervisione del genetista Giuseppe Sermonti. Se il contenuto dell'articolo è meritevole di segnalazione, sotto un altro aspetto lo è ancor di più il fatto stesso di essere stato pubblicato in una rivista che fino ad ora ha sempre difeso la concezione darwiniana della evoluzione. Infatti Nature nei passati decenni ha più volte attaccato gli studi "alterantivi" di alcuni biologi e naturalisti poco propensi a seguire la corrente maggioritaria. Lo stesso Denton, negli anni ottanta, fu violentemente criticato sulle pagine di questa rivista per il suo libro Evolution, a Theory in Crisis (Burnett, Londra 1985): venne infatti accusato da Mark Ridley di scarsa competenza nell'argomento trattato e di aver riproposto contro Darwin vecchie critiche ormai superate, il che equivale a dire che il suo libro era improponibile nell'ambito della ricerca "seria" sull'evoluzione (Nature, 318, 1985, pp.124-5). Ebbene dopo circa 15 anni Nature ospita un articolo del "reprobo" Denton nella pagina dedicata ai concetti innovativi in biologia, e questo senza che l'Autore abbia apportato la benchè minima modifica alle linee essenziali del suo pensiero antidarwinista. Anzi...

Ma chi è Michael J. Denton? Vediamone un breve profilo, basato anche sulle informazioni da lui stesso fornitemi. Ha studiato medicina, negli anni sessanta, all'Università di Bristol, ottenendo il titolo di Medical Doctor nel 1968. A fianco degli interessi scientifici ne coltivava altri, di carattere umanistico, studiando lingue semitiche e storia del Medio Oriente presso l'Università di Gerusalemme. Alla fine degli anni sessanta entrò al Dipartimento di Biochimica presso il Kings College di Londra. Lì l'atmosfera scientifica era molto elettrizzante, la creatività era di casa: si poteva conversare molto facilmente, magari nella stessa sala da tè, con studiosi di alto livello, come Maurice Wilkins, famoso per le sue ricerche sulla struttura degli acidi nucleici (DNA e RNA), arricchendo così, anche in modo informale, le proprie conoscenze, secondo un stile purtroppo ignoto nelle nostre università baronali. Ma --in negativo-- Denton ricorda che il paradigma scientifico egemone al Kings College era quello meccanicista e DNA-centrico: in altre parole si riteneva assodato che tutte le forme biologiche fossero il frutto esclusivo dell'azione dei soli geni, i quali, a loro volta, erano il risultato (cumulativo) dell'attività della selezione naturale nel corso dell'evoluzione. Di fronte a questa concezione riduzionista già allora Denton nutriva delle forti perplessità, derivanti anche dai suoi studi sullo sviluppo della forma degli eritrociti, o globuli rossi del sangue. Far risalire ogni cosa al DNA gli sembrava irrealistico e contraddittorio con i dati sperimentali. A rinforzare i suoi dubbi sul presunto ruolo centrale dei geni nel determinare tutte le forme si aggiunse l'aver conosciuti proprio nei primi anni settanta le teorie neutraliste del biologo giapponese Kimura, molto discusse al Kings College. Secondo questa teoria molte mutazioni (cambiamenti della struttura del gene e quindi della sua manifestazione fenotipica) sono "neutrali", cioè né utili, né dannose per l'organismo che le porta, mentre per il neodarwinismo classico ogni mutazione deve avere un valore selettivo, positivo o negativo. Altri autori che lo spinsero su questa strada potenzialmente "eretica" rispetto alla scienza "normale" di kuhnniana memoria, furono poi Brian Goodwin, con la sua concezione delle forme biologiche come specie naturali (cfr. B.C.Goodwin e G.C.Webster, Il problema della forma in biologia, Armando, Roma 1988), e Stuart Kauffmann, fautore del concetto di "autorganizzazione" della materia (cfr. S.Kauffman, A casa nell'universo, Editori Riuniti, Roma 2001). Nel decennio successivo, fino a circa la metà degli anni ottanta, Denton accrebbe sempre più la sua specializzazione in campo medico, focalizzando poi la sua attenzione sulla genetica delle malattie dell'uomo, con particolare riferimento alle patologie degenerative della retina, conducendo con successo molti studi all'avanguardia, volti a mappare geni responsabili di gravi malattie. Iniziò un periodo di studi e ricerche feconde, presso l'Ospedale Principe di Galles a Sydney, in Australia, per poi approdare alla fine all'Università di Otago, in Nuova Zelanda, dove lavora attualmente. La sua eccellente qualificazione scientifica gli ha permesso di scrivere su riviste di altissimo livello, come Nature Genetics, American Journal of Human Genetics, PNAS, ecc. Intanto nel 1985 era apparsa la prima edizione del già citato Evolution, a Theory in Crisis (Burnett, Londra), poi edito anche negli USA un anno dopo (Adler & Adler, Bethesda), e infine tradotto in francese, giapponese e coreano. In esso Denton, che non aveva mai abbandonato i suoi studi sull'origine delle forme viventi, critica con dovizia di dati la pretesa neodarwinista di ridurre la complessità del divenire biologico al semplicistico gioco delle mutazioni casuali e della selezione naturale. Ebbe successo nonostante fosse un libro antidarwinista, con una forte connotazione platonico-aristotelica --il più qualificato apparso negli anni ottanta-- ma non sosteneva alcuna tesi creazionista: ciò non impedì ai seguaci di Darwin di denigrarlo come antiscientifico in quanto creazionista (Nature fece la sua parte, come si è già detto!), mentre i creazionisti veri se ne appropriarono in modo del tutto illecito. Alla fine degli anni novanta Denton pubblica il suo secondo libro sul tema dell'evoluzione: Nature's Destiny: How the Laws of Biology Reveal Purpose in the Universe (Free Press 1998), dove sostiene che le forme dei viventi sono caratteristiche intrinseche dell'ordine della natura e non frutto di processi estrinseci. Inoltre egli afferma che le leggi della natura appaiono strutturate e finalizzate in modo specifico per il manifestarsi di forme di vita caratterizzate dalla "razionalità" quale è l'Homo Sapiens. E' la teoria del "Disegno Intelligente". Viene così riproposta la centralità della nostra specie all'interno del regno naturale. Anche questo libro ha avuto delle traduzioni in altre lingue (francese e portoghese), a testimonianza dell'interesse assai diffuso per le teorie di Denton (notazione a margine: come mai nessun editore italiano ha pensato di pubblicare Evolution, a Theory in Crisis e Nature's Destiny? distrazione o congiura del silenzio imposta dai baroni del neodarwinismo nostrano? un segno disarmante di provincialismo). Attualmente Denton sta scrivendo un terzo libro, dal titolo The Nature of Biological Form, dove sviluppa alcuni concetti già accennati in precedenza e ripresi in parte nell'articolo pubblicato da Nature. Il nucleo del suo discorso antimeccanicista è che la forma biologica deriva dall'azione della legge naturale sui costituenti materiali della vita, mentre il DNA si limita a influenzare la forma, ma non a determinarla. In questa cornice si inserisce il discorso sulla struttura tridimensionale delle proteine, argomento dell'articolo prima citato. A mio parere queste idee e intuizioni costituiscono una stimolante e per molti aspetti solida "ipotesi di lavoro", dalle forti tonalità platonico-aristoteliche, ipotesi che presto potrebbe diventare una teoria alternativa rispetto alla semplicistica concezione neodarwiniana.

 


Per il testo originale inglese dell'articolo cfr. pagina a parte.

 


Traduzione in italiano:

Una rivisitazione delle leggi della forma

«La struttura tridimensionale delle proteine, che troviamo in natura, costituisce una seria limitata di forme platoniche, in esse incorporate. Le funzioni delle proteine sono adattamenti secondari di questa serie di forme naturali, primarie e immutabili».

 

Prima di Darwin, la maggior parte dei biologi seguiva una concezione platonica della natura. Questo implicava che il regno degli esseri viventi fosse costituito di una serie limitata di forme naturali essenzialmente immutabili che, come le forme inorganiche quali atomi o cristalli, sono una parte intrinseca dell'ordine eterno del mondo. Proprio come oggi noi spieghiamo la forma degli atomi e dei cristalli mediante una serie di leggi fisiche o "regole costituenti", così i biologi pre-darwiniani cercavano di spiegare l'origine delle forme biologiche nei termini di una serie di leggi fisiche generative spesso definite come "leggi della forma". Per molti biologi moderni la biologia platonica costituisce un anacronismo irrimediabilmente posto fuori gioco, e l'idea che le forme biologiche possano essere delle realtà intrinseche alla natura, generate da leggi fisiche, viene considerata con incredulità. Tuttavia recenti scoperte nel campo delle chimica delle proteine suggeriscono che almeno una serie di forme biologiche --cioè i fondamentali avvolgimenti delle proteine [nello spazio tridimensionale]-- è determinata da leggi fisiche simili a quelle che danno origine ai cristalli e agli atomi. Sotto tutti gli aspetti esse sembrano essere forme platoniche invarianti, proprio del tipo che ricercavano i biologi pre-darwiniani. Ciascuno degli avvolgimenti della proteina, le unità costitutive di base delle proteine, è fatto da una catena ripiegata di circa 80-200 amminoacidi. Alcune proteine consistono di un singolo ripiegamento, ma la maggior parte ne hanno due o più. Durante gli anni settanta, mentre veniva determinata la struttura tridimensionale di un numero sempre maggiore di avvolgimenti, diventava chiaro che tali conformazioni potevano essere classificate all'interno di un numero definito di famiglie strutturali distinte, contenenti forme tra loro strettamente correlate. Il fatto che gli avvolgimenti delle proteine potevano essere classificati in questo modo ha fornito il primo insieme di evidenze che siffatte strutture potrebbero essere delle forme naturali. Una ulteriore evidenza che gli avvolgimenti costituiscono veramente una serie limitata di forme naturali è fornita dai dettagliati studi strutturali condotti nei due decenni passati, studi che hanno dimostrato che la disposizione spaziale degli avvolgimenti può essere spiegata facendo riferimento a una serie di "regole costitutive" che determinano il modo in cui i vari motivi conformazionali secondari, come l'alfa-elica e il foglio pieghettato, possono essere combinati e impacchettati in strutture tridimensionali compatte. Inevitabilmente vengono alla mente le leggi costitutive degli atomi, le quali determinano l'aggregazione delle particelle subatomiche nei 92 atomi della tavola periodica degli elementi. La considerazione di queste "leggi costitutive" suggerisce che il numero totale di possibili avvolgimenti si restringe a un numero molto piccolo --circa 4.000, secondo una stima. La conferma che la situazione sia probabilmente questa è fornita da un altro tipo di valutazione, basata sulla frequenza con la quale si vanno scoprendo i nuovi avvolgimenti. Usando questo metodo, Cyrus Chothia del Medical Research Council ha calcolato che il numero totale di avvolgimenti presenti negli esseri viventi non può essere superiore a 1.000. Valutazioni successive hanno fornito una cifra tra 500 e 1.000.

Quale che sia la quantità reale, il fatto che il numero totale di avvolgimenti rappresenti una minuscola frazione ben definita di tutte le possibili conformazioni polipeptidiche, determinata dalle leggi della fisica, rinforza l'idea che gli avvolgimenti, come gli atomi, costituiscono una serie limitata di forme insite nella natura stessa. La solidità degli avvolgimenti fornisce un altro indizio. Il fatto che questi possono mantenere la loro conformazione nativa nonostante molteplici tipi, diversi, di deformazioni nel breve periodo, causati dalla turbolenza molecolare della cellula, e nonostante i cambiamenti evolutivi della loro sequenza amminoacidica nel lungo periodo, è proprio quanto ci si aspetterebbe se essi fossero forme naturali, definite da leggi fisiche. Ancora: il fatto che lo stesso tipo di avvolgimento è compatibile con molte differenti sequenze amminoacidiche, apparentemente non correlate tra loro, mentre suggerisce l'esistenza di molteplici, separate, "scoperte" nel corso dell'evoluzione, è un'ulteriore evidenza che gli avvolgimenti sono caratteri intrinseci propri all'ordine della natura. Infine, il fatto che in molti casi lo stesso avvolgimento può esplicare funzioni biochimiche assai differenti è proprio ciò che ci si aspetterebbe se le funzioni delle proteine fossero adattamenti secondari di una serie di forme naturali, primarie e immutabili. Se conformazioni spaziali così complesse come gli avvolgimenti delle proteine sono modelli strutturali intrinseci alla natura stessa, si potrebbe supporre che anche altre realtà, appartenenti a livelli più elevati dell'architettura della natura, possano essere determinate da leggi fisiche. La resistenza di certe strutture citoplasmatiche (per esempio: l'apparato del fuso [mitotico] e la forma della cellula dei protozoi cigliati, come Stentor), suggerisce che pure queste possano costituire delle conformazioni straordinariamente stabili, favorite anche dal punto di vista energetico, poste sotto il controllo di leggi fisiche. Se verrà dimostrato che una consistente parte delle forme di più alto livello, presenti negli esseri viventi, è radicata nell'ordine della natura, allora le implicazioni sarebbero profonde e di ampia portata. Ciò significherebbe che le leggi fisiche devono aver giocato, nell'evoluzione della forma biologica, un ruolo molto più rilevante di quanto generalmente ammesso fino ad oggi. E ciò significherebbe un ritorno alla concezione pre-darwiniana secondo cui alla base della diversità dei viventi vi è una serie limitata di forme naturali che si ripetono nel cosmo più e più volte, ovunque ci sia un tipo di vita basata sul carbonio.

 


Note

1- Michael Denton e Craig Marchall (Dipartimento di Biochimica dell'Università di Otago, Nuova Zelanda). torna al testo ^

 

Bibliografia di approfondimento:

 

traduzione italiana di Giovanni Monastra

 

 

Per i tuoi prossimi acquisti di libri EstOvest consiglia Il Giardino dei Libri

 


Articolo inserito in data: martedì 25 settembre 2001.

Ultima modifica:

Torna all'inizio di questa pagina Torna all'indice della sezione torna all'indice