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Economia e spiritualità

di Paolo Scroccaro

«Per chi ragiona bene, la ricchezza conforme a natura ha i suoi limiti e il suo confine, tracciato tutto intorno dal bisogno come da un compasso» (Plutarco, La passione della ricchezza, 4)

I termini che fanno da titolo non sono necessariamente antitetici, come l'opinione comune è per lo più portata a credere; un accordo, un nesso organico può nuovamente ricomparire, come già era accaduto in epoche premoderne. Imponendo una "misura" risanatrice all'economia e alla tecnica, seguendo gli orientamenti già discussi, rivitalizzando le possibilità interiori degli individui, restituendo ad essi quelle qualità che il fanatismo del lavoro "meccanico" aveva eclissato, si ricreano anche i presupposti per una contestuale rivivificazione del senso, oggi smarrito, del culto, della festa e della vita contemplativa. Tutto questo è in sintonia con gli insegnamenti della saggezza tradizionale.

La furia produttivistica, diffondendo l'ossessione per l'azione smisurata e per la velocità illimitata in ogni campo, ha reso impossibile un'esistenza dignitosa alle persone e agli altri esseri in un mondo continuamente stravolto dalle illusorie promesse del profitto e del Prodotto Nazionale Lordo; con il tramonto del paradigma economicistico, delle cui avvisaglie si è detto in precedenza, la vita potrà finalmente tornare a gustare quei ritmi naturali, lenti, ristoratori, che gli idoli del progresso avevano sottratto.

«Nel mondo devastato dalla tecnica, potrà prodigiosamente rifiorire una nuova ospitale dimora, proprio come il tenace filo d'erba riesce ad aprirsi uno spazio vitale nell'asfalto della strada abbandonata»

Sarà così possibile recuperare il legame sociale, che l'etica mercantile aveva marginalizzato, e con esso lo spirito della comunità non utilitaristica, rispettosa di tutti gli esseri in quanto tali, sensibile alla sacralità dell'ordine dell'universo, capace di porre al vertice delle sue attenzioni la cura per la conoscenza disinteressata e per la realizzazione interiore degli individui, in armonia con il cosmo che gratuitamente nutre e sorregge.
Tra dimensione politico-economica ed esigenza spirituale, vi può essere intima connessione o, al contrario, opposizione; come ben sapevano Aristotele e gli antichi, una comunità virtuosa e ordinata sul piano civile ed economico, favorisce anche la ricerca spirituale, poiché le virtù "dianoetiche", che costituiscono il vertice naturale dell'individuo e della polis, hanno come presupposto quelle "etiche". Quindi, per dirla con San Tommaso,

«è necessario alla perfezione della comunità umana che vi siano uomini dediti all'inutile vita contemplativa». (Commento alle Sentenze, 4, d. 26, 1, 2).

Ai nostri giorni, purtroppo, tra i citati momenti non può che regnare la contesa, poiché la saggezza filosofica, oltre ad essere assai rara e mescolata a deformazioni culturali di vario genere, è per di più osteggiata in nome dell'attivismo produttivistico, strutturalmente incapace di rispettare quanto non rientra nel suo progetto di dominio. Gli attardati sostenitori di esso continuano ad imporlo come unica medicina per la nostra civiltà, che proprio a causa di esso si trova gravemente ammalata; essi perciò ben meritano il giudizio rivolto in un'antica commedia al medico ciarlatano:

«La tua medicina non fa che aggravare la malattia».

Se una riforma radicale diventa oggi indispensabile, essa non può che partire dagli esempi concreti, forniti da quanti sono capaci di testimoniare in anticipo quello che ai più non risulta ancora visibile, avendo essi bisogno di attendere l'ulteriore precipitare degli eventi, vale a dire l'approfondirsi della crisi della civiltà produttivistica.

«La riforma deve cominciare da se stessi. Prediche agli altri, articoli magnifici che pretendono di salvare il mondo [...] pensare che tutto questo possa portare ad una soluzione equivale ad ingannarsi [...] non posso né parlare né pensare di trasformare il mondo, se non comincio con chi mi è più vicino» (R. Panikkar, Ecosofia, Cittadella 1993, pag. 53).

Nello stesso tempo, è vero che «l'uomo non raggiunge la salvezza, la pienezza umana, come persona [...] se non si realizza nella polis» (Ecosofia, pag. 32).

Individuo e comunità rappresentano qui il microcosmo e il macrocosmo, la comunità è in un certo senso la proiezione dell'individuo, come diceva Platone, i cui suggerimenti politici meritano d'essere rimeditati.
La vera politica non è apparato tecnico-burocratico, volto alla gestione del potere e dell'esistente, come oggi accade ovunque, a destra, al centro e a sinistra. La grande politica, cioè l'arte politica "regale" di cui parlava Platone (cfr. Politico 276 e) si prende cura della polis in profondità e non esteriormente, cioè secondo l'Idea, non secondo il calcolo pragmatico del momento: ma i tempi non sembrano ancora maturi per una tale rinascita della politica, occorre pazientare e intanto preparare l'humus e seminare, affinché qualcosa, più avanti, possa germogliare. Nell'attesa, possono contare molto le testimonianze individuali, che possono veicolare migliori e più saggi comportamenti collettivi, per i quali non deve risultare sprecato il detto di Solone: «Noi non scambieremo la nostra virtù con la loro ricchezza».

L'emergere d'individui capaci di tanto è possibile là dove si affermi una trasformazione graduale del livello coscienziale, orientato verso un ampliamento della visione e non del possesso: a tal fine, è indispensabile imparare a superare l'attaccamento alle forme limitative, cioè agli oggetti grossolani (denaro, P.N.L., mezzi tecnologici sempre più potenti, merci di consumo superflue se non nocive...) e sottili (prestigio, celebrità, sentimentalismi, moralismi superficiali...); così facendo si impara via via a disciplinare quella tensione desiderante che spinge incessantemente verso le cose, trasformando la vita in tormento esistenziale, poiché

«il desiderio troppo intenso verso ogni cosa suscita la più intensa paura di rimanerne privi, e in tal modo la nostra gioia diviene debole e malsicura, come fiamma esposta al vento» (Plutarco, La serenità interiore, 16);
inoltre, occorre ricordare che «la dolcezza e il sorriso della vita non provengono dall'esterno» (Plutarco, Virtù e Vizio, 1).

A seguito dell'espansione coscienziale di cui sopra, il moto psichico agitato, veloce, ossessivo, diventa più calmo; si impara ad apprezzare la lentezza, il ritmo che ritorna su se stesso, tipico delle realtà cosmologiche inviolate: e poiché «gli uomini nelle città, troppo bramosi di vanità o di sconvolgimenti, manifestano insanità» (Pindaro), per conseguire questa stazione spirituale è oggi più che mai necessario poggiare su quel sostegno che è dato dal sottrarsi il più possibile al frastuono della città, proprio come faceva H. D. Thoreau1, e cercare ristoro e ispirazione nella natura selvaggia2, o almeno non troppo stravolta dalla violenza tecnologica.

«Credi a chi ne ha esperienza: nelle foreste troverai più che non nei libri.
L'albero e le rocce ti insegneranno ciò che non puoi imparare dai maestri
»
(San Bernardo di Chiaravalle, Lettera a Enrico Murdach)

Si comincia così a sperimentare ed assaporare una leggerezza esistenziale prima sconosciuta, poiché l'energia mentale, in quanto pressata di continuo da stimoli artificiosi, tipici del degrado cittadino, era insidiosamente attirata verso mete centrifughe ed eterogenee, con le inevitabili implicazioni quanto a smarrimento, inquietudine, lacerazione interiore. Il vivere risultava così perennemente instabile, frastornato nel flusso sregolato del divenire, del consumismo, del desiderio: era cioè privo di "centro"; ora invece acquista via via dignità, compostezza, fierezza, stabilità irremovibile... proprio come il maestoso abete al limitare superiore della foresta, che essendo saldamente radicato nel suolo accogliente, può vincere le asperità del luogo che, ripido e scosceso, non può che apparire inospitale all'inesperto viaggiatore occasionale.

Vi è già in tutto questo un qualche adombramento della condizione tipica di antichi dei, perché ci si installa in una dimensione preparatoria rispetto alla conquista dell'imperturbabilità assoluta cara a Giuliano e agli altri filosofi classici d'Occidente e d'Oriente, i quali consideravano la pax profunda, la perfetta "non-agitazione" (cioè la condizione di trascendenza rispetto al mutamento aritmico e sgraziato) come vetta irrinunciabile alla quale conduce il sentiero della realizzazione3.

Non a caso, anche nella Bibbia è prescritto:

«Abbiate otium (fermatevi)
e riconoscete che io sono Dio
»
(Salmi, 45, 11)

Quel che vale per il singolo, vale anche per l'insieme: la società caotica è caratterizzata dall'agitazione produttivistica insensata, cui si attaglia bene il giudizio di Plutarco:

«Gli insensati disprezzano e trascurano
perfino i beni di cui dispongono
perché con il pensiero
sono perennemente protesi verso il futuro
»
(La Serenità Interiore, 14)

Tale società manca di stabilità e armonia, e riproduce necessariamente (cioè per essenza e non per accidente) conflitto, sfruttamento, insoddisfazione, dolore... una collettività composta e guidata da individui scentrati e psicolabili, non potrà mai essere riordinata artificiosamente tramite megaprogrammi sociopolitici pretenziosi che, magari in buona fede, propongono astrattamente ideali di pace, di eticità, di solidarietà, cui non corrispondono realizzazioni personali adeguate4, nemmeno da parte di coloro che di tali programmi sono promotori... Solo persone interiormente pacificate e capaci di autonomia rispetto al dominio della megamacchina sociale dominante, possono far maturare, nel luogo adatto, i semi per una comunità capace di armonia e reciprocità, operando giorno dopo giorno per il suo comparire non nel grigiore delle rumorose sedi politiche, ma nella compostezza discreta della testimonianza, poiché l'esempio ha una forza straordinaria, quella della causa finale che attira invece di coartare, come ben sapeva Plutarco che non a caso scrisse le Vite Parallele.

Per concludere con il massimo di semplicità:

«Quando tanti uomini piccoli in tanti posti piccoli fanno delle cose piccole, cambiano la faccia del mondo» (Proverbio tradizionale)

 


Note

1- «Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore al giorno -e generalmente sono di più- vagabondando per i boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni preoccupazione terrena.» (H. D. Thoreau, Camminare, Mondadori 1991, pag. 11).

«Una regione in cui una foresta primitiva affondi le proprie radici nel materiale decomposto di un'altra foresta primitiva è un territorio che favorisce non soltanto la fioritura di grano e di patate, ma anche di poeti e di filosofi per le generazioni a venire.» (Camminare, pag. 39). torna al testo ^

2- A. Naess ha opportunamente elogiato l'esperienza del "vivere in capanna" con queste parole:

«Nei paesi scandinavi, la consapevolezza energetica viene sviluppata fin dall'infanzia attraverso la tradizione della friluftsliv, cioè della vita a contatto con la natura. Dopo aver soggiornato in una capanna, il ritorno a una vita in cui l'energia è utilizzata nel modo usuale, il fatto che tanta ricchezza sia accolta senza gioia, lo spreco incredibile di cui è oggetto hanno sempre un forte impatto emotivo. La tradizione della vita nelle capanne è uno degli elementi ecosoficamente più efficaci di vigilanza permanente contro i comportamenti distruttivi della vita moderna.» (Ecosofia, Red 1994, pag. 114).

Ovviamente, esperienze del genere non solo educano alla sobrietà nel campo dei consumi più di mille prediche: più in generale, e conseguentemente, concorrono a far apparire quella sensibilità contemplativa alla quale allude anche San Bernardo nella citata Lettera a Murdach e in altre. torna al testo ^

3- Così come l'Assoluto viene indicato nei testi religiosi e filosofici come completezza, autosufficienza, non-dipendenza, allo stesso modo la persona e la comunità cercheranno di portare all'atto qualità capaci di imitare tale "pienezza" di essere, con la quiete che ne consegue: «D'un tratto cessò il vento, e fu bonaccia, senza un alito: un Dio addormentò le onde» (Odissea).
La prossimità alla pace interiore e allo stato contemplativo, o comunque la preparazione ad essi, richiede certe costanti nella vita individuale e comunitaria, che seguono il filo conduttore del "limitare ciò che è causa di abnorme moto psichico", in nome dell'adeguazione ai ritmi cosmici, immagine nel tempo dell'eterno sovratemporale, come dicevano gli antichi. Da qui discendono la disciplina del desiderio, delle passioni, dei consumi, l'elogio dell'indipendenza, dell'autosufficienza, della serena lentezza esente da agitazione e dell'economia ordinata e stazionaria, non funzionale al profitto ma al bene comunitario. torna al testo ^

4- «[...] Chi governa deve prima acquisire il controllo su se stesso, raddrizzare la propria anima [...] chi è scomposto non può dare compostezza, chi non ha ordine dentro di sé non può darlo agli altri.» (Plutarco, Chi governa deve avere paideia).

Vale qui anche il verso di Euripide: «Fai il medico degli altri, e tu sei coperto di piaghe». torna al testo ^

 

Paolo Scroccaro

 

 

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Articolo inserito in data: mercoledì, 12 maggio, 1999.

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